Osservatorio privilegiato sul mondo universitario con i suoi 650.000 iscritti, Docsity la prima piattaforma didattica in italia (it.docsity.com) ha lanciato a pochi giorni dalla sessione d’esame invernale il sondaggio “Papà ti paga gli studi?” che ha coinvolto in 15 giorni un campione di 352 studenti di età compresa tra i 20 e i 26 anni, donne (60%) e uomini (40%), provenienti da nord (42%), sud (31%) e centro (27%) e che rivela un’Italia universitaria “inedita”, molto lontana dalla definizione di ‘incubatrice di bamboccioni’ che da anni l’affligge.Seri, determinati, ma soprattutto lavoratori. Il 38% dei giovani universitari si barcamena tra lavoro full e part time, a cui si somma un 21% che dichiara di unire il contributo dei genitori con entrate derivate da un lavoro. Una tendenza nazionale individuabile anche nel meridione dove, nonostante le difficoltà congiunturali, il mix tra studio e lavoro è realtà per il 53% dei partecipanti al sondaggio. Tornando a livello nazionale, solo un 34% afferma di mantenersi gli studi esclusivamente grazie all’aiuto totale dei genitori e di questi ben il 70% lo fa perché reputa l’iter universitario una priorità da preservare contro ogni distrazione. Di contro il 21% confessa di voler lavorare, ma che a frenarlo sono proprio i genitori.Ma se per i maschi trovare lavoro full time durante gli anni universitari sembra cosa possibile (22%), per le donne anche in questa fascia d’età non sembra valga la stessa tendenza visto che la media delle universitarie impiegate a tempo pieno è minore di 8 punti percentuali.Un quadro generale virtuoso che vede gli universitari italiani dotati di serietà, determinazione ma anche spinti da una marcata voglia di indipendenza. Per il 62% degli studenti che lavorano, sono il desiderio di uscire dalla famiglia e la ‘voglia di crescere’ le principali motivazioni che li spinge a cercare una fonte di reddito anche durante gli studi. Di contro il 38% vive il lavoro non come una scelta, ma come una necessità, l’unica maniera per mantenersi gli studi.Un quadro generale che allora sembra sollevare, quantomeno la categoria in questione, dall’onta di essere “bamboccioni”. Il 59% degli intervistati dichiara, infatti, di non trovarsi per niente d’accordo con tale etichetta, di questi il 48% afferma che è solo un pretesto trovato della classe dirigente per nascondere la mancanza di politiche utili alla valorizzazione della nuove generazioni.In questo scenario, comunque, il restante 41% non se la sente di smentire e con uno schiacciante 60% dichiara di sentirsi appartenente ad una generazione viziata. Di questo 41%, inoltre, esiste comunque un percentuale di adesione al mea culpa ‘con riserva’: il 26% riconosce, infatti, alla società e alla famiglia delle grosse responsabilità come l’istruzione inadeguata (32%), il carovita (36%) e una reazione naturale alla mancanza di opportunità lavorative (32%).“Io in primis, ieri universitario e oggi imprenditore, ho notato questa tendenza: molti studenti si fanno in quattro per inseguire i propri sogni. – afferma
Riccardo Ocleppo fondatore e CEO di Docsity -. Lavorare e studiare non è per forza un obbligo. Ma, che si studi e lavori assieme, o che si studi e basta, ciò è palese è una grande voglia di emergere e di farcela da parte dei giovani di oggi, a prescindere dal contesto economico e del mercato del lavoro in cui ci troviamo".