È stata dura, ma UniCredit ha finito di fare pulizia nel suo bilancio. Con una svalutazione da 9,3 miliardi di euro ha azzerato il valore dei 'goodwill' in Italia, Austria ed Europa dell’est: ha cioè accettato dal punto di vista contabile che le attività acquistate negli anni passati non hanno un valore superiore a quello di mercato. Qualcosa di simile è stato fatto con i crediti: la banca guidata da Federico Ghizzoni nell’ultima parte del 2013 ha messo da parte altri 7,2 miliardi di euro per coprire i prestiti problematici. Un’operazione che ha portato il livello totale di rettifiche dell’anno passato a 13,7 miliardi, con un rapporto tra coperture e crediti che sale dal 45 al 52%, cioè a un livello di sicurezza in linea con le migliori banche europee. La pulizia è stata costosa perché sui conti finali del 2013 le svalutazioni hanno ammazzato il margine operativo lordo da 9,2 miliardi costruito l’anno passato: l’anno si chiude con una perdita netta di 14 miliardi di euro, il rosso peggiore della storia di UniCredit. Sarebbe andata anche peggio se la rivalutazione delle quote della Banca d’Italia non avesse portato un guadagno di 1,2 miliardi di euro. «È un po’ ridicolo da dire, ma sono molto soddisfatto» ha ammesso Ghizzoni. Anche la Borsa, dopo un choc iniziale, ha apprezÈ zato l’operazione di pulizia del bilancio: l’azione UniCredit ha chiuso con un guadagno del 6,2% dopo avere toccato anche punte superiori al +8%. Rientra nella strategia di riordino interno anche la 'bad bank', un progetto su cui i manager lavoravano da quasi un anno e che ora è pronto per essere pienamente operativo. Si chiama 'non core division' (potremmo tradurlo come 'divisione attività non strategiche') e vi lavorano 1.100 persone incaricate di gestire 87 miliardi di crediti italiani concessi negli anni passati a circa 840mila clienti. Non sono tutti prestiti deteriorati: il 33% sono crediti con clienti che stanno pagando ma che, ha spiegato Ghizzoni, «hanno un profilo di rischio superiore a quello che riteniamo accettabile». La divisione dovrà ridurre questa esposizione a 33 miliardi di euro entro il 2018. La 'bad bank' interna, ha chiarito il manager, non è alternativa a quella a cui UniCredit sta lavorando assieme a Intesa Sanpaolo: «Con loro l’idea è un fondo per la gestione di aziende recuperabili». Nel piano industriale della banca – dove si punta a fare, nel 2018, 6,6 miliardi di utili, avere un coefficiente patrimoniale Tier 1 al 10% (cioè migliore dei limiti europei – si prevedono 8.500 esuberi, di cui 5.700 in Italia. I tagli garantiranno, a fine piano, una riduzione dei costi annui di 1,3 miliardi di euro. I risparmi saranno investiti per spingere la crescita dei ricavi, prevista attorno a una media di un 5% annuo. Il consiglio di amministrazione ha anche deciso di portare in Borsa entro l’estate la banca online Fineco, mettendo sul mercato una quota di minoranza. È in vendita, ma non in Borsa, anche la piattaforma di riscossione crediti Uccmb. Le cessioni, accompagnate all’emissione di titoli utili a rafforzare il patrimonio, allontanano l’ipotesi di un aumento di capitale. «Credo che il gruppo volti pagina e si proietti in un periodo completamente nuovo focalizzato sulla crescita dei ricavi, sugli investimenti e sulla profittabilità» ha detto Ghizzoni. Uni-Credit è anche pronta a tornare a fare credito. Se la situazione di è «stabilizzata» nell’ultimo trimestre, il piano prevede un aumento deciso del portafoglio di prestiti: dai 434 miliardi di fine 2013 a 490 miliardi nel 2016 fino a 530 miliardi nel 2018.