Fabrizio Antolini, presidente eletto della Sistur (Società italiana del turismo) e presidente dell’Osservatorio economico e aziendale dell’Università di Teramo - Archivio
Il turismo è la nostra principale “industria”: 13% del Pil, 4,2 milioni di lavoratori tra diretti e indotto. Siamo i primi in Europa, anche se l’emergenza da Coronavirus ha messo in ginocchio l’intero settore. La perdita stimata per il 2019-20 è calcolata tra i 40/50 miliardi di euro, anche se c’è chi dice 60/70 miliardi. Nel solo periodo di Pasqua abbiamo perso 300 milioni. «Il Covid-19 – spiega Fabrizio Antolini, presidente eletto della Sistur (Società italiana del turismo) e presidente dell’Osservatorio economico e aziendale dell’Università di Teramo - cambierà anche il concetto di turismo; ci dovrebbe essere un salto culturale. La via del turismo sembra sempre più orientata verso una sostenibilità che coincide con uno stile di vita diverso. Ho appena terminato uno studio assieme a un mio collega dell’Istat sul turismo sostenibile e abbiamo visto che in Italia ci sono delle aree dove gli agriturismi si sono riorganizzati producendo direttamente beni alimentari di qualità, molto apprezzati dai turisti. Il Covid-19 cambierà inevitabilmente il profilo psicologico del turista, che andrà sempre più alla ricerca di destinazioni dove star bene».
I territori, infatti, devono scoprire le proprie vocazioni, offrendo piattaforme informatiche aperte dove promuovere oppure indicare luoghi dove andare. Il turista molte volte è un turista per caso. Questo tipo di partecipazione inizia a svilupparsi, ma non bisogna dimenticare che in Italia esiste un divario digitale, sia a livello territoriale sia soprattutto a livello di età. Bisognerebbe coinvolgere anche associazioni che esistono e che spesso promuovono forme di turismo (Pro loco, Archeoclub eccetera). Oggi, per esempio, ci sono destinazioni turistiche sovraffollate che creano una situazione impossibile da vivere per il turista. Servirebbero applicazioni che ci dicano il livello di affollamento. «L’enogastronomia – sottolinea il professore - può essere una ciliegina sulla torta, anzi una ciliegiona, ma non può essere la torta. Sarà importantissimo per poter continuare a sviluppare il turismo, ma lasciare all’enogastronomia lo sviluppo del turismo, sarebbe un compito troppo gravoso. L’enogastronomia può diventare un elemento importante del turismo sostenibile e dello stare bene».
Sarebbe molto più importante puntare sulla destagionalizzazione. Anche se occorrerebbero politiche di marketing mirate e un piano di interventi complesso con effetti non immediati. «È importante – aggiunge Antolini - che si evitino effetti di overtourism, ovvero una pressione turistica insostenibile (si prenda come esempio Roma). In queste condizioni non si riescono a offrire servizi adeguati, compromettendo lo stato di benessere del turista. Serve invece che il turismo, o meglio gli enti territoriali, capiscano che il turismo ha un valore economico e può e deve essere equiparato a un prodotto e servizio. Come tale deve essere offerto tenendo conto che esistono tanti mercati di riferimento (segmentazione dei mercati) che possono dare origine a tanti turismi. Il turismo è un settore dove l’offerta crea la domanda. Bisogna caratterizzate le destinazioni turistiche riscoprendo la vocazione dei territori. I territori molte volte non conoscono se stessi, non riescono a individuare degli attrattori turistici, intorno ai quali costruire il turismo vissuto come esperienza».
Purtroppo, però, mancano le professionalità adeguate. E una formazione mirata nei confronti dell’ospitalità. « L’ospitalità – chiarisce il presidente della Sistur – è la capacità di mettere a proprio agio il cliente e soprattutto di offrirsi come primo intermediario per quanto riguarda l’offerta di servizi sul territorio: è un passaggio fondamentale e importante. Colui che gestisce un servizio, in particolare quello ricettivo è il primo ambasciatore del turismo. E può essere la prima guida turistica sul territorio, stante un’adeguata conoscenza dei servizi digitali presenti sul territorio. Si pensi all’importanza che i taxi hanno nel fornire l’immagine del Paese, al turista che arriva in Italia».
Antolini punta il dito sull’istituzione pubblica, che dovrebbe semplificare questo processo. Nel 2011 l'allora ministero del Turismo fece un portale e si spesero tanti soldi. Poi però ogni Regione procedeva per conto proprio, aveva un portale con un “format” completamente diverso. «In quel periodo – precisa - ero uno degli esperti Ocse sul turismo, andai all’Enit e chiesi come mai non ci fosse un format unico per tutti i portali, i cui contenuti dovevano poi chiaramente essere diversi a seconda del territorio. Non ebbi risposta. Spesso il pubblico interviene in operazioni che dovrebbero fare i privati, complicando le norme per i bandi, oppure non fornendo un sufficiente controllo in merito alle modalità con le quali i soldi pubblici sono stati utilizzati. Non esiste un ufficio regionale, anche in collaborazione con Università territoriali che sia in grado di supportare le imprese nel fare business plan».
Per il docente siamo indietro anche sulle “nuove” lingue: cinese e tedesco, l’inglese dovrebbe essere scontato. Oltre che sul marketing digitale, «ma fatto bene non in modo improvvisato»; sulla capacità di saper organizzare eventi e sull’analisi dei dati statistici, «con particolare riferimento alla capacità di avere gli strumenti per misurare la customer satisfaction. In questa direzione va letta anche la possibilità di utilizzare nel corretto modo i big data, per esempio le informazioni che compaiono su Twitter e Trip-advisor vanno filtrate. Bisogna sapere come utilizzare queste informazioni grezze, in alcuni casi, non veritiere».
«Il problema della governance esiste nel turismo come in altri settori – conclude Antonoli - . Nel turismo però è più evidente, dal momento che molti servizi, per esempio di trasporto, sono gestiti a livello centrale, mentre il turismo è una competenza esclusiva delle Regioni. È un bene o un male. Dipende. A mio avviso manca un meccanismo di trasmissione tra enti locali, Regioni e Stato. La Conferenza Stato-Regioni non mi sembra riesca a essere incisiva. Siamo uno dei Paesi con il maggior numero di aeroporti e porti, ma ci muoviamo prevalentemente in auto. In Italia, escludendo quindi l’incoming estero, 43,7 milioni di viaggi sono fatti in auto su un totale di 62,3 milioni. Se si considerano i viaggi di vacanza sono 41,3 milioni i viaggi fatti in auto su un totale di 56,3 milioni. E le autostrade italiane sono tra le più care, così come il costo del carburante è più caro. È qui che perdiamo di competitività dei prezzi. Andare in vacanza per le famiglie non è sempre possibile. Bisognerebbe rivedere la programmazione del turismo. La distanza non può più essere valutata in termini di chilometri percorsi, ma soprattutto sul tempo impiegato per raggiungere la destinazione. È così che si devono pianificare i servizi».