Giuseppe Biazzo, ad di Orienta - Archivio
Nel 2016 l'Italia è diventato il primo Stato al mondo, dopo gli Usa, a introdurre a livello legislativo lo status giuridico di società benefit, che identifica le aziende a duplice finalità, ovvero quelle che intendono perseguire finalità di impatto positivo su società e ambiente oltre al profitto. In aprile scorso le società benefit in Italia erano a quota 926, con la Lombardia al primo posto con 316 aziende, seguita dal Lazio (117) e dall'Emilia (96). Secondo la definizione codificata per la prima volta nella legge di Stabilità del 2016, lo status non apre la strada a sgravi fiscali o a regole più agili sul lavoro o sui prodotti. Non garantisce necessariamente neppure una posizione di mercato, perché gran parte del pubblico è ancora largamente all'oscuro dell'esistenza stessa di una qualifica del genere. Eppure un numero sempre maggiore di aziende nel nostro Paese mostra interesse nella trasformazione in società benefit. In sostanza cambia la propria ragione sociale: mantiene l'obiettivo del profitto per i suoi azionisti e rimane completamente all'interno nei meccanismi di un'economia di mercato, ma decide di perseguire in maniera misurabile, nell'esercizio della propria attività, anche precisi obiettivi di beneficio comune. Questi possono riguardare il governo d'impresa e le relazioni industriali, il rapporto con le comunità locali sulle quali l'impresa insiste, la tutela dell'ambiente, le attività con associazioni di volontariato o della società civile, le attività culturali anche aperte alla società che gravita attorno all'impresa. In altri termini, resta l'obiettivo del profitto, ma almeno sulla carta non è l'obiettivo esclusivo della massimizzazione del profitto di breve termine prima e al di sopra di qualunque altro obiettivo. Tra le società benefit anche Orienta. Già nel 2020 l’Agenzia per il lavoro ha avviato un percorso specifico di formazione e di collocazione lavorativa degli immigrati rifugiati e richiedenti asilo politico, occupandone ben 119 e ottenendo così il riconoscimento dell’Acnur-Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu, mentre anche lo stesso “processo produttivo” (selezione e avviamento al lavoro) ha subito una trasformazione nel senso della sostenibilità e del rispetto degli individui che ne sono destinatari. Nasce da qui la collaborazione con Aid-Associazione italiana dislessia) grazie alla quale è stata messa a punto una modalità di selezione tale da non svantaggiare in alcun modo i candidati dislessici. «È cambiato il nostro modo di fare impresa e insieme al legittimo scopo di realizzare utili si aggiunge la finalità di favorire il benessere della comunità – spiega Giuseppe Biazzo, ad di Orienta –. L’azienda sta mutando natura, e da soggetto puramente economico è divenuta un soggetto più ampio e veicolo di promozione di impegno e senso di responsabilità sociale rivolta alla costruzione di un modello di società sostenibile e inclusiva. In questo senso siamo particolarmente orgogliosi di essere la prima agenzia del lavoro in Italia ad aver compiuto questo passo così importante».
Nel mondo, invece, sono 4mila le aziende dotate della certificazione promossa dall'ente non profit B Lab, che verifica e assicura che un 'impresa operi secondo alti standard di performance sociale e ambientale. Le B Corp italiane sono 123 e danno lavoro a 14.146 persone. Società benefit e certificate B Corp, pur complementari, sono in realtà distinte. In entrambi i casi si fa riferimento ad aziende profit che hanno scelto di perseguire obiettivi di bene comune ma si differenziano sotto diversi aspetti: lo status giuridico di società benefit permette alle aziende di includere nell'oggetto sociale la creazione di valore, ufficializzando l'impegno nel perseguire obiettivi di bene comune; le B Corp, a seguito dell'ottenimento di un punteggio elevato nella misurazione del loro impatto, ottengono la certificazione che ne garantisce l'operato incentrato sui più alti standard di performance sociale e ambientale. Miscusi è stata tra le prime a ottenere la certificazione B-corp nel settore della ristorazione. Fondata da Alberto Cartasegna e Filippo Mottolese, miscusi esiste per rendere le persone felici diffondendo uno stile di vita mediterraneo. Nel 2017 inaugura il suo primo ristorante a Milano in zona Cinque Giornate, in soli tre anni apre 12 ristoranti in sette città italiane e un ristorante a Londra. Nel 2020, nonostante la pandemia, aggiunge una nuova anima annessa al ristorante: “la miscusi bottega”, una gastronomia di quartiere dove comprare i prodotti di miscusi da cucinare a casa. L’impegno sociale parte dalla comunità aziendale, che si chiama “miscusi family”, con un piano di azionariato diffuso “miscusi stock” che prevede di destinare il 5% della società a store manager e dipendenti dell’HQ con contratto a tempo indeterminato attivo dopo un primo periodo di inserimento in azienda. Questa iniziativa, unica nel suo genere in Italia nel settore della ristorazione, sino ad oggi, ha consentito a quasi il 20% dei dipendenti di avere il diritto di possedere azioni. Già da anni, inoltre, supporta tutti i propri fornitori in un percorso di miglioramento e crescita, condividendo gli stessi valori di sostenibilità umana e ambientale. L’80% dei fornitori infatti adotta soluzioni circolari, il 70% ha un programma di monitoraggio dei consumi energetici, dell’acqua e del food waste, il 90% dei dipendenti è assunto a tempo indeterminato. Questo consente a miscusi di lavorare a stretto contatto con fornitori che diventano anche partner e con i quali scegliere le materie prime, i processi di lavorazione e non solo il prodotto finito, ottenendo così un forte miglioramento in termini di qualità ma anche di riduzione degli sprechi. E proprio in quest’ottica, quella di tracciare ogni singolo ingrediente dalla terra al piatto, miscusi ha dato il via a un progetto sperimentale di agricoltura rigenerativa che, grazie alla coltivazione di cereali a basso impatto ambientale, consentirà a miscusi di produrre una pasta buona per le persone e per il pianeta. «Il mondo sta sperimentando sempre più impatti climatici pericolosi e crisi umanitarie legate a siccità, aumento del livello del mare, inondazioni, calore estremo e collasso dell'ecosistema – conclude Cartasegna -. Il sistema alimentare è responsabile di circa il 28% delle emissioni globali di gas serra. L'agricoltura e i cambiamenti di uso del suolo associati (così come i fertilizzanti, i pesticidi e il letame) sono la più grande fonte di queste emissioni. Non possiamo ignorare queste problematiche, miscusi vuole contribuire concretamente alla soluzione, perché con un piatto di pasta è possibile farlo. Oramai da un paio d’anni lavoriamo con tutti i nostri fornitori per mappare le emissioni, partendo dal campo e seguendo il prodotto fino al piatto. Un lavoro lungo e dispendioso, necessario a sapere quali ingredienti scegliere. I primi risultati sono strabilianti: il nostro menu è già oggi dentro gli obiettivi delle Nazioni Unite per il 2030. Meno di 1,5kg di CO2 al giorno per capite. Lanceremo entro fine anno il primo piatto di pasta che rende possibile un equilibrio nutrizionale e planetario molto complicato».