Il via libera definitivo è arrivato ieri pomeriggio con voto unanime. Superando divisioni di lungo corso gli esecutivi di Cgil, Cisl e Uil hanno approvato il documento unitario di riforma del modello contrattuale. Si tratta di una proposta organica che i sindacati ora spediranno alle organizzazioni delle imprese nel tentativo di trovare un’intesa e scongiurare un intervento per legge del governo, minacciato ancora pochi giorni fa dal premier Matteo Renzi «se le parti sociali non si accordano». Ma il percorso parte tutto in salita. Non era ancora concluso il vertice sindacale ieri che il presidente di Confindustria,
Giorgio Squinzi, già alzava il fuoco di sbarramento: «Da quel che si legge, i sindacati si stanno muovendo col passo del gambero», ha detto parlando di una «proposta superata» che «sembra più una foto sbiadita che non una scelta per rinnovare il Paese». Parole molto nette per un imprenditore che in genere non viene assegnato al fronte più ostile al dialogo. Che confermano la distanza delle posizioni e alimentano il sospetto sindacale che stavolta gli industriali preferiscano un intervento del governo per introdurre il salario minimo legale, giudicandolo più vantaggioso di un faticoso accordo tra le parti. Altrettanto nette comunque le controreazioni confederali: i «vecchi» non siamo noi ma loro, accusano i leader. Per
Susanna Camusso (Cgil) il modello di Confindustria «è vecchio come il mondo, è il dominio dell’impresa ». «Noi arretrati e sbiaditi? – incalza
Carmelo Barbagallo (Uil) –. Cercano di apparire giovani e innovativi ma hanno i testa sempre lo stesso obiettivo: massimizzare i profitti tagliando i salari». Per la Cisl è intervenuto il segretario confederale
Gigi Petteni (Anna Maria Furlan era assente per motivi di salute) invitando al dialogo: «Non può essere il giorno delle polemiche, la nostra è una proposta di speranza e dobbiamo dare un segnale positivo che le imprese e il mondo del lavoro sanno confrontarsi con grande responsabilità». La proposta di Cgil, Cisl e Uil si basa su tre pilastri: doppio livello di contrattazione, partecipazione dei lavoratori e regole di rappresentanza sindacale certificate ed estese a tutti i settori. Il contratto nazionale resta la «primaria fonte normativa» e fissa i minimi salariali (da collegarsi non solo all’inflazione, oggi minima quando non negativa) che poi potranno essere estesi a tutti per legge. Ma la proposta punta anche a rafforzare, attraverso un regolato trasferimento di competenze, la contrattazione di secondo livello (aziendale, territoriale, distrettuale o di filiera) con l’obiettivo di migliorare salari e condizioni di vita e di lavoro attraverso la crescita della produttività e dell’efficienza delle imprese. Obiettivo da perseguire anche rendendo strutturali le agevolazioni fiscali per i «premi» erogati in sede decentrata. Nei giorni scorsi Federmeccanica, una delle categorie più rappresentative di Confindu-stria, ha proposto di fissare solo i «minimi di garanzia» nella cornice nazionale (ed eventuali integrazioni al welfare) spostando sul livello decentrato ogni altro beneficio. Una proposta che in qualche modo assomiglia al salario minimo, pur prevedendo la sua fissazione per via contrattuale e non per legge. Nel mondo sindacale stavolta il leader della Fiom Maurizio Landini ha affermato di apprezzare la proposta unitaria. Mentre al contrario qualche perplessità arriva dal segretario della Fim Cisl
Marco Bentivogli secondo il quale «non si può fare centralizzazione e decentramento allo stesso tempo. L’aumento dei salari reali può avvenire solo liberando appieno la contrattazione decentrata».