Una busta paga - Archivio
Per il quinto anno consecutivo anno Jobpricing, per la prima volta in collaborazione con Infojobs, mappa il livello di soddisfazione degli italiani nei confronti del loro pacchetto retributivo. Dallo studio emergono i fattori che più incidono sul rapporto fra retribuzione (in ogni sua forma) e soddisfazione. La ricerca è stata effettuata su oltre 2mila lavoratori dipendenti con una survey on line focalizzando l’attenzione su sei dimensioni: 1) equità (sono pagato il giusto rispetto al mio ruolo e rispetto agli altri); 2) competitività (sono pagato in linea col mio valore di mercato); 3) performance e retribuzione (sono pagato in proporzione al mio contributo individuale); 4) trasparenza (capisco e ho chiari i criteri di politica retributiva del mio datore di lavoro); 5) fiducia e comprensione (condivido i criteri di gestione delle retribuzioni della mia azienda) 6) meritocrazia (le ricompense vanno davvero a chi se le merita).
Secondo i risultati dell’indagine, la retribuzione si conferma un fattore “igienico”, ma non necessariamente motivante:la retribuzione se non è percepita come “adeguata” produce demotivazione, ma non è detto che la motivazione cresca al crescere dello stipendio. Le cose migliorano quando entrano in gioco altri elementi del pacchetto retributivo come premi variabili individuali, incentivi a lungo termine, benefit e welfare. Questo potrebbe spiegare perché dirigenti e quadri sono mediamente più soddisfatti di impiegati e quadri. La soddisfazione complessiva sembra essere collegata in modo direttamente proporzionale ai fattori di “equità” e di “performance e retribuzione”Questo potrebbe confermare che le chiavi per ottenere un livello di soddisfazione positivo siano da ricercare, soprattutto, nell’adeguare lo stipendio al valore del lavoro (posizione) e al valore della persona (prestazione): in altre parole, retribuzioni simili a parità di condizioni e differenziazione dello stipendio in base al contributo individuale.
Nel complesso i lavoratori non sono soddisfatti delle loro retribuzioni né degli altri componenti del pacchetto retributivo. Il giudizio è leggermente negativo per i principali componenti del reward (soddisfazione complessiva, equità, competitività, performance e retribuzione, trasparenza, fiducia e comprensione e meritocrazia) mentre arriva a un giudizio fortemente negativo per la meritocrazia. La soddisfazione complessiva cala, e di molto, se è presente solo lo stipendio fisso. Diminuisce con l’inquadramento e cresce con la dimensione aziendale: per la prima volta negli ultimi quattro anni il livello di soddisfazione è in peggioramento rispettoall’anno precedente (da 4.1 a 3.7). L’insoddisfazione è quasi totale (da 3.0 del 2019 a 2.7 del 2020) per chi non percepisce altri elementi oltre alla retribuzione fissa. Le uniche valutazioni positive arrivano da quadri e dirigenti, per tutti gli altri siamo abbondantemente sotto la sufficienza. Indipendentemente da territorio, dimensione aziendale e settore, il giudizio resta sempre negativo. I lavoratori non percepiscono equità e denotano perplessità rispetto al valore del proprio lavoro: l’equità retributiva è in costante peggioramento da cinque anni (da 4.9 nel 2015 a 4.2 nel 2020 ) e i lavoratori non assumono una posizione precisa se gli viene chiesto di paragonare la propria retribuzione con quella di mercato, sottolineando il fatto che c’è ancora molta confusione rispetto alle retribuzioni. La retribuzione non è percepita come proporzionata alla performance individuale: circa il 60% dei lavoratori esprime un giudizio negativo che diventa fortemente negativo in presenza di solo retribuzione fissa. Si percepisce proporzione solamente dove sono presenti altri elementi del pacchetto retributivo (premi non monetari, retribuzione variabile individuale, incentivi a lungo termine). Quadri e dirigenti conoscono e condividono le procedure per i riconoscimenti di merito, operai e impiegati no. Positive le valutazioni di “trasparenza” e “fiducia e comprensione” per dirigenti e quadri, ma fortemente negativa quella di impiegai e impiegati. Meno del 20% dei lavoratori si dichiara comunque pienamente soddisfatto del livello di comunicazione dell’azienda e meno del 10% condivide pienamente i criteri adottati dal datore di lavoro in merito. Non c’è meritocrazia per quadri dirigenti e operai:Il tema della meritocrazia è il punto di più forte insoddisfazione, con oltre il 40% dei lavoratori che ne lamenta una totale assenza.Le aziende non premiano i migliori secondo i lavoratori e questa convinzione è particolarmente forte fra gli operai. Soltanto la presenza di incentivi di lungo termine determina una percezione (leggermente) positiva.
SCEGLIERE UN POSTO DI LAVORO, CAMBIARE O RESTARE
.Al primo posto nella scelta di un posto di lavoro ci sono le relazioni interpersonali e la busta paga: Sempre più importanti le relazioni interpersonali che passano da un punteggio di 8.7 a uno di 9. Si conferma inoltre il peso degli elementi cosiddetti intangibili di natura non monetaria, primo su tutti la formazione e le possibilità di sviluppo di carriera. Oltre due lavoratori su tre cambierebbero lavoro per un miglioramento dello stipendio fisso: tuttavia sono piuttosto importanti, e in crescita, sia la possibilità di sviluppo e formazione sia la possibilità di conciliare tempo di vita e tempo di lavoro. Circa un lavoratore su due sceglie di restare nell’attuale posto di lavoro per le relazioni interpersonali tra colleghi e datori di lavoro: seguono ambiente di lavoro (poco meno di 1 su 2) e work life balance (circa 1 su 3).
IL COMPENSATION MIX E LO STIPENDIO GIUSTO
Ben il 70% dei rispondenti all’indagine rinuncerebbe a una mensilità della propria retribuzione fissa in cambio di altri elementi, non necessariamente economici: il più auspicato è poter rientrare in percorsi per il proprio sviluppo professionale. La quota di questi lavoratori (26,8%) è molto vicina a quella dei lavoratori che in nessun caso si priverebbero di una parte dello stipendio (29,5%). La busta paga non basta ed è sempre più bassa di quella dei colleghi: in tutte le categorie contrattuali analizzate, i lavoratori indicano che la loro retribuzione per essere “giusta” dovrebbe essere più alta di circa il 25%. Il 63% dei lavoratori ritiene inoltre, con un’evidente distorsione percettiva, di guadagnare meno di coloro che in altre aziende svolgono la medesima professione.
Alessandro Fiorelli, ceo di Jobpricing: «Siamo alla quinta edizione della survey e quindi possiamo dire qualcosa non solo sullo stato dell’arte, ma anche sull’evoluzione della soddisfazione dei lavoratori rispetto al loro stipendio. In particolare, sono tre gli aspetti fondamentali che si sono confermati nel tempodal 2016 fino ad oggi: in primo luogo, la soddisfazione è bassa e il suo andamento sostanzialmente piatto; in secondo luogo, il grado di soddisfazione è fortemente correlato con la percezione di equità e con quella di meritocrazia, che però sono a livelli bassi (soprattutto la seconda) e in costante calo negli ultimi cinque anni; infine, si conferma che i soldi sono importanti, ma non sono tutto. Da quest’ultimo punto di vista, è interessante osservare che oltre il 70% degli intervistati sarebbe disponibile a scambiare una mensilità di stipendio fisso per qualcos’altro, prima fra tutto un investimento sullo sviluppo professionale e che le relazioni personali sul posto di lavoro sono equivalenti alla retribuzione fra i motivi di scelta di un posto di lavoro. Più nel dettaglio, i lavoratori ci hanno detto che nel valutare un nuovo posto la priorità l’hanno ancora gli aspetti economici, ma questi scendono decisamente nel ranking delle motivazioni se si tratta di prendere la decisione di non cambiare. Mi pare una conferma di una cosa che imprenditori e responsabili del personale sanno molto bene: puoi attrarre un talento con i soldi, ma non lo convincerai mai a rimanere solo per quelli».
Filippo Saini, Head of Job di Infojobs: «I risultati che emergono da questo Osservatorio, di cui siamo lieti di essere partner, hanno confermato alcuni aspetti che conosciamo bene, grazie all’interazione con gli utenti della nostra piattaforma. Ad esempio, il compenso è naturalmente una delle chiavi motivanti lanecessità di cambiamento, ma il clima aziendale e le possibilità di formazione e carriera risultano fondamentali quando si arriva al momento di scegliere se cambiare lavoro o rimanere dove si è. Le nostre aziende sembrano saperlo bene, tanto è vero che ci hanno indicato l’employer branding come un must, imprescindibile per attrarre nuovi talenti e trattenere i propri. Un altro trend importante di quest’anno è la formazione, perché upskilling e reskilling consentono di creare professionalità tailor made, riqualificare la forza lavoro dove necessario e progettare percorsi di carriera concreti, supportati da una formazione specifica per lo sviluppo delle competenze richieste.