domenica 3 novembre 2024
La stima di Confindustria da qui al 2028. Insufficiente la quota di 151mila prevista dal decreto flussi. Banca d'Italia: «A loro si deve l'aumento degli occupati»
Stranieri fondamentali per le imprese: «Ma ne occorrono 120mila in più»

Imagoeconomica

COMMENTA E CONDIVIDI

Sia che lo sguardo sia rivolto al passato, sia che lo si sposti verso il futuro, all’Italia per restare competitiva e mantenere i livelli occupazionali, sono già servite e serviranno, ancora di più, le risorse e le competenze dei lavoratori stranieri. Sono i dati a dirlo: secondo il report di previsione di Confindustria c’è bisogno di 120mila lavoratori immigrati per i prossimi cinque anni, al netto della quota annuale di 151mila lavoratori stranieri già prevista nel decreto flussi per il triennio 2023-2025.

Al tempo stesso, se si osserva il nostro andamento occupazionale dal 2007 al 2023, grazie ai dati forniti in esclusiva ad Avvenire dalla Banca d’Italia, è possibile vedere quanto sia già stato determinante il contributo dei lavoratori non nati in Italia con una crescita del numero di occupati del 2,9%, totalmente attribuibile ai lavoratori stranieri, secondo quanto scritto nel capitolo su “Il contributo di nativi e stranieri alla crescita dell’occupazione”, che verrà reso disponibile venerdì con la pubblicazione “L’Economia delle regioni Italiane” (ERIT).

In sintesi, la Banca d’Italia dice che il contributo dei lavoratori stranieri è stato finora fondamentale, ma tornando a guardare al futuro, che cosa accadrà nei prossimi cinque anni al mercato del lavoro? Nei primi sei mesi del 2024, oltre due terzi delle imprese italiane con ricerche di personale in corso (il 69,8%) ha riscontrato difficoltà di reperimento e queste difficoltà dichiarate dalle aziende nel trovare professionisti, tecnici, operai e più in generale, manodopera sono cresciute molto nel tempo: riguardavano nel 2019, prima della pandemia, il 26% delle assunzioni previste (in valore assoluto 1,2 milioni), mentre nel 2022 la quota aveva raggiunto il 42% e nel 2023 aveva superato il 45% delle assunzioni (quasi 2,5 milioni in valore assoluto).

C’è un evidente problema di disallineamento tra domanda e offerta di lavoro che mette in crisi lo sviluppo del Paese e in futuro andrà ad accentuarsi non solo per l’invecchiamento della popolazione, ma anche a causa della scarsa mobilità interna, dell’attrattività sempre più bassa dell’Italia e della fuga di cervelli all’estero. Per fare un esempio, a Milano il canone di affitto mensile standardizzato supera la media nazionale del 70%, mentre la produttività del lavoro è più alta solo del 40%: questa sproporzione nei costi per la casa riguarda anche altre città come Como, Venezia, Bologna, Firenze e Roma e più in generale tutto il Nord-Ovest e il centro Italia. In altre parole, dove c’è alta domanda di lavoro, c’è carenza di lavoratori che non trovano le condizioni adatte a vivere; al contrario, in regioni dove il tasso di disoccupazione è più alto sono minori le opportunità lavorative. Non è difficile intuire che in queste condizioni le persone siano scoraggiate a trasferirsi in aree con alta domanda lavorative, dove la vita è troppo costosa rispetto ai salari troppo bassi che vengono garantiti. Del divario sulle retribuzioni tra lavoratori comunitari e extracomunitari si è letto anche nel Rendiconto sociale dell’Inps presentato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Istituto: i lavoratori immigrati extracomunitari guadagnano in media 385 euro a settimana, il 51% in meno rispetto chi è comunitario che arriva 582 euro a settimana. E questi sono solo i numeri ufficiali che non comprendono tutti i casi di sfruttamento e lavoro nero che pure esistono e su Avvenire continuiamo a denunciare. Tra le cause del mismatch resta centrale la questione dei salari, troppo bassi e poco attrattivi.


69,8%
le imprese che nei primi sei mesi del 2024 hanno faticato a trovare lavoratori

385 euro
il guadagno medio settimanale dei lavoratori immigrati extracomunitari, il 51% in meno rispetto ai lavoratori comunitari

1,3 milioni
di lavoratori è l’aumento del mismatch stimato tra il 2024 e il 2028

Riallacciandosi alle stime di Confindustria per fine 2028, la domanda di lavoro sarà maggiore del numero di professionisti, tecnici e operai occupabili. E sulla base delle proiezioni demografiche Istat e dell’espansione economica attesa, si stima che in Italia, a parità di tasso di occupazione (61,5% nel 2023), nel quinquennio 2024-2028 questo mismatch quantitativo potrebbe crescere di altri 1,3 milioni di lavoratori.

Che fare, dunque, per colmare questo potenziale aumento del mismatch quantitativo? In primis, è necessario aumentare la partecipazione al lavoro di donne e giovani, soprattutto in zone a bassa domanda di lavoro che necessitano di sostegno, anche economico, per trasferirsi in province o regioni più industrializzate, ma anche persone vicine all’età minima di pensionamento che possano essere incentivate a rimanere attive, anche grazie a modalità di organizzazione del lavoro per loro attrattive. In secondo luogo, anche con un aumento del tasso di occupazione del 2% e un coinvolgimento di 730mila lavoratori in più, sottratti al bacino degli inattivi, mancherebbero, comunque, ancora 610mila lavoratori. E qui si ritorna al numero iniziale di previsione di Confindustria: questo mismatch potrebbe essere colmato solo ampliando gli ingressi dei lavoratori stranieri, arrivando a 120mila all’anno.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: