venerdì 1 febbraio 2013
La crisi non è uguale per tutti: grazie all’aumento della busta-paga del primo presidente di Cassazione, il limite passa a 303mila euro, 9mila in più del 2012. «Vergogna», gridano sindacati e consumatori. Intanto Monti a Berlino incontra Merkel che lo elogia: «Difende l’Italia con durezza».
COMMENTA E CONDIVIDI
La morte, ammoniva Totò, è na livella, perché accomuna tutti. La crisi economica evidentemente no, visto che in Italia (mentre la maggior parte dei cittadini stringe la cinghia e quasi tutti i dipendenti pubblici hanno lo stipendio bloccato) nel 2013 qualcuno sarà in grado di beneficiare di uno "scattino" intorno ai novemila euro l’anno, circa il 3,1% in più. Chi saranno questi fortunati? I soliti noti, ossia quei super manager pubblici con stipendi a cinque zeri che già avevano fatto discutere e per i quali nei mesi scorsi il decreto "salva-Italia" aveva fissato un tetto, in busta paga, di 293.658 euro lordi annui.Ma la circolare applicativa del 2012 "agganciava" quel tetto a un parametro preciso, prevedendo che «non può superare il trattamento economico annuale complessivo spettante» al primo presidente della Cassazione. E qui sta il busillis: quest’ultima, si apprende ora, sarebbe salita a fine 2012 per via del riverbero degli effetti della sentenza della Corte costituzionale che a ottobre ha bocciato l’introduzione del contributo di solidarietà del 5 o 10% per i dipendenti pubblici con stipendi sopra i 90mila o 150mila euro annui. Con la restituzione di quel "prelievo", il "lordo" annuo del primo presidente in ermellino è cresciuto di qualche migliaio di euro, favorendo l’effetto domino su quello dei super manager. A dare notizia della situazione è stata una comunicazione del dicastero della Funzione pubblica, guidato da Filippo Patroni Griffi, nella quale si rende noto che il ministero della Giustizia «ha comunicato che il trattamento annuale complessivo spettante per la carica di primo Presidente della Corte di cassazione per l’anno 2012 ammonta a 302.937,12 euro». Tuttavia, prosegue la comunicazione, le amministrazioni dovranno tenere conto delle regole sul tetto «operando, ove necessario, le riduzioni dei trattamenti corrisposti ai propri dipendenti e collaboratori sino a concorrenza dell’importo indicato». Inoltre, «il limite non comporta in nessun modo un adeguamento automatico delle retribuzioni dei dirigenti pubblici che peraltro sono bloccate da altre disposizioni legislative in vigore». Insomma, non sarebbe uno "scattino" di massa: a settembre, secondo i dati comunicati al Parlamento dallo stesso Patroni Griffi, gli stipendi con «scostamento immediato» dal tetto erano «18». Ma dopo un annus horribilis come quello trascorso (con l’inflazione a più 3%, il blocco dei contratti pubblici e degli scatti delle pensioni da 1.486 euro in su), un più 3 per cento nelle buste paga d’oro di pochi "paperoni" farebbe comunque indignare quei milioni di dipendenti i cui magri salari sono saliti in media solo dell’1,5. «È una vergogna totale - s’infuria la Federconsumatori - e metteremo in campo ogni iniziativa per contrastarla». È «scandaloso, lo Stato predica bene e razzola male», protesta il segretario generale Cisl per il pubblico impiego, Giovanni Faverin. E Carla Cantone, della Spi-Cgil, osserva amara: «Mi auguro che siano gli stessi manager a rifiutare l’aumento, per un minimo di decenza. Altrimenti siamo di fronte a un clamoroso schiaffo alla miseria, che grida vendetta».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: