martedì 4 ottobre 2022
Uno studio dell'Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche fotografa il cambio di rotta legato ai prezzi dell'energia e alla mancanza di rimborsi da parte delle aziende
Almeno sei milioni gli statali che potrebbero lavorare da casa secondo il Politecnico di Milano

Almeno sei milioni gli statali che potrebbero lavorare da casa secondo il Politecnico di Milano - Ansa

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"Smart working? No, grazie". La pensa così ben l’80% dei dipendenti pubblici e privati, secondo lo studio “Attualità e prospettive dello smart working. Verso un nuovo modello di organizzazione del lavoro?”, presentato dall’Inapp – Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – la scorsa settimana.

Il motivo? Non poteva che essere il caro-bollette che in questo momento occupa i pensieri delle famiglie e delle imprese italiane. Coi costi dell’energia schizzati alle stelle, quella che sembrava una modalità di lavora particolarmente appetibile per i lavoratori italiana è diventato inevitabilmente peso scaricato dagli uffici pubblici e dalle aziende sulle loro spalle. In particolare, i dipendenti pubblici si sono fatti avanti chiedendo compensazioni economiche per fronteggiare i rincari delle bollette. Ma difficilmente li otterranno, viste le scarse risorse di cui sembra disporre la Pubblica amministrazione. Per quanto riguarda il pubblico, l’adesione allo smart working avviene, nella sua forma ibrida, su base volontaria e passa da un accordo individuale tra dirigente e singolo dipendente. Il nuovo contratto per le funzioni centrali – il primo ad aver disciplinato il lavoro da remoto all’interno della Pubblica amministrazione dopo la sperimentazione avviata agli inizi della pandemia da Covid-19 – non chiude in maniera esplicitamente ai rimborsi spese, ma rinvia tutto alla contrattazione integrativa. Tuttavia, il vero nodo sono le risorse messe in campo dai ministeri, che al momento non sembrano capaci di venire incontro alle richieste dei sindacati e dei lavoratori. Non sono previste compensazioni nemmeno per favorire i lavoratori cosiddetti fragili, ai quali è riconosciuto l’accesso agevolato allo smart working, a patto che soffrano di determinate patologie.

Insomma, in tempi di caro-energia, il tanto decantato lavoro agile sembra non convenire più ai lavoratori italiani. Secondo alcune stime, sarebbero 700mila gli statali che potrebbero lavorare da remoto. Secondo il Politecnico di Milano, su 18 milioni di dipendenti pubblici, tra i 6 e gli 8 milioni potrebbero lavorare da casa. Anche nel settore privato – dove gli accordi non sono ancora obbligatori – i dipendenti preferiscono lavorare in ufficio, in assenza di rimborsi spesa per affrontare i costi notevolmente aumentati del lavoro da remoto. Se durante le prime ondate della pandemia – complice soprattutto i rischi legati al contagio – lo smart working sembrava particolarmente appetibile, ora i lavoratori pubblici e privati sembrano voler evitare che il prezzo del caro-energia venga scaricato sulle loro spalle. È sì vero, stando allo studio Inapp, che l’80% di essi ritiene che favorisca l’equilibrio fra lavoro e vita privata; che il 90% sottolinei che aiuti ad abbattere i tempi spesi negli spostamenti; che il 66% dei datori di lavoro sostiene che migliori anche la produttività. Ma ciò non basta ancora a rendere il lavoro da remoto vantaggioso dal punto di vista economico.

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