Una docente fa lezione "a distanza" da una classe. Per Bankitalia il ricorso allo smartworking nella scuola è stato eccessivo - Fotogramma
Un balzo in avanti senza precedenti nel settore pubblico come in quello privato. Un’analisi di Bankitalia sull’utilizzo dello smartworking nei primi sei mesi del 2020 fotografa, con numeri e tendenze, quella rivoluzione resa obbligatoria dalla pandemia e destinata a diventare la "nuova normalità". Due i trend che emergono: da un lato la predilezione da parte delle donne, di fatto "forzata" dalle nuove necessità di conciliazione, dall’altra le diverse possibilità di accesso legate al livello di istruzione, all’anzianità e alla tipologia di azienda più ancora che alla mansione ricoperta. Un ritratto in chiaroscuro: se da un lato lo smartworking ha fatto da argine alla crisi, dall’altra in certi settori, come la scuola, il suo uso eccessivo ha prodotto delle storture. Durante il primo lockdown il lavoro agile è stato appannaggio di un terzo dei dipendenti pubblici, livello inferiore alle potenzialità (che negli uffici poteva arrivare al 53%) a causa delle ridotte competenze del personale, mentre la mancanza di investimenti in dotazioni informatiche non ha inciso in maniera significativa. Al contrario è stato adottato in massa nell’istruzione, per effetto della didattica a distanza, e nei servizi sociali non residenziali. Nel settore privato il ricorso allo smartworking nel secondo trimestre dell’anno ha riguardato il 14,4% dei dipendenti (con l’esclusione del settore agricolo), percentuale decuplicata rispetto ai livelli del 2019. Il numero dei lavoratori interessati è passato da 200 mila a 1,8 milioni, quello delle imprese dal 28,7% all’82,3%.
L’incremento per le donne è stato nettamente superiore (fenomeno trasversale che coinvolge anche il pubblico), andando ad accentuare il divario di genere (16,9% per le donne e 12,8% per gli uomini). Si sono invece ridotte le differenze tra aree geografiche e settori. I lavoratori più istruiti e di specifici settori particolarmente "telelavorabili" come informazione e comunicazione, ma anche attività finanziari e assicurative, sono stati avvantaggiati. Un ruolo importante ha giocato anche la dinamicità delle imprese: ad essere più rapide quelle più grandi, appartenenti a gruppi esteri e che investono in tecnologie avanzate. Secondo Bankitalia gli effetti dello smartworking nel settore privato «sono stati positivi, preservando i livelli salariali e l’occupazione di chi poteva svolgerli» e una sua estensione potrebbe avere «ricadute positive sul mercato del lavoro». A conti fatti insomma il lavoro agile ha contribuito a limitare le conseguenze negative dello shock connesso con la pandemia sulla domanda aggregata e sull’occupazione. In questa direzione vanno letti anche i dati sull’aumento della retribuzione mensile (+6% in media) e il minor ricorso alla cassaintegrazione per le aziende che hanno fatto ricorso allo smartworking in maniera massiccia.
Meno positivo il giudizio sull’utilizzo dello smartworking nel settore pubblico, in particolare per le mansioni operative con «conseguenze incerte sulla produttività». I ricercatori della Banca d’Italia nell’analisi sottolineano che il 95% degli enti vi ha fatto ricorso. «Tuttavia, in alcuni casi vi è una discrepanza tra la quota di personale che ha lavorato da casa e quella delle attività che sono state svolte» con tassi di delocalizzazione non sempre corrispondenti alla quantità di attività dichiarate sottolineano i ricercatori. «Ciò sembra suggerire che l’uso dello smartworking nella pubblica amministrazione possa essere andato al di là dell’effettiva telelavorabilità delle mansioni, con conseguenze sulla produttività incerte». Altro tasto dolente riguarda la scuola dove il tasso di lavoro da remoto ha superato il 60%. Per Bankiltalia occorrerà valutare eventuali «effetti negativi» della didattica a distanza sull’apprendimento degli alunni e in particolare sull’aumento delle diseguaglianze.