Per i lavoratori italiani c’è un altro scalino da salire sulla via della pensione. Dal
primo gennaio del 2016, infatti, per andare a riposo bisognerà aspettare quattro mesi in più. L’asticella di fine corsa lavorativa (la
pensione di vecchiaia) arriverà così
a quota 66 anni e 7 mesi. La novità è annunciata da una circolare dell’
Inps che recepisce quanto fissato dal ministero dell’Economia sull’adeguamento dei requisiti previdenziali all’aspettativa media di vita. Si tratta di un percorso fissato dalla legge varata nel 2010 dal governo Berlusconi, che imponeva appunto di ricalcolare periodicamente l’età di uscita in base all’andamento della vita media. La buona notizia dunque è che l’aspettativa cresce. Ma questo obbligherà i lavoratori italiani un quadrimestre di lavoro in più. Un successivo aggiornamento è già fissato per il 2019 quando l’età pensionabile si avvicinerà presumibilmente ai 67 anni. Per quanto riguarda la pensione di vecchiaia, i
66 anni e 7 mesi sono il nuovo limite per i lavoratori maschi pubblici e privati e per gli autonomi. Stesso discorso anche per le lavoratrici del pubblico impiego. Per le dipendenti del settore privato invece prosegue il percorso di riallineamento ai colleghi maschi, che si concluderà con la parificazione dei requisiti nel 2018: intanto dal 2016 andranno in pensione di vecchiaia a 65 anni e sette mesi, dagli attuali 63 anni e nove mesi. Per la
pensione anticipata il requisito contributivo di uscita salirà a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a 41 anni e dieci mesi per le donne.L’adeguamento arriva mentre in Parlamento si discute di come rendere più flessibile l’età di uscita dal lavoro modificando la legge Fornero che a fine 2012 ha disposto un innalzamento generalizzato e rigido dell’età di pensionamento. Intanto l’Inps prosegue sulla strada della trasparenza: ieri l’istituto ha pubblicato una scheda sul fondo pensioni ex Inpdai, l’ente dei dirigenti delle aziende industriali, inglobato dall’Inps nel 2003 quando era a un passo dal crac. Oggi il fondo eroga 126.580 pensioni con un importo medio di 50mila euro (a fronte dei 12.660 degli altri dipendenti), generalmente più alto di quello che risulterebbe applicando il metodo contributivo. Con il ricalcolo, secondo l’Inps, l’88% degli assegni sarebbe ridotto e quasi il 20% perderebbe oltre il 40%.