giovedì 8 gennaio 2015

Applicazione limitata, pochi soldi e un fondo da attivare. Funzionerà?

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È una delle novità più rilevanti del Jobs act. Assieme alla nuova indennità di disoccupazione, una delle misure di security, per affrontare con maggiore "sicurezza" le incertezze dell’accresciuta flessibilità dei rapporti di lavoro. Un passo avanti per non lasciare il lavoratore solo ad affrontare il mercato del lavoro. Almeno in teoria. Perché nella pratica, il nuovo "Contratto di ricollocazione", varato dal governo la vigilia di Natale assieme al "Contratto a tutele crescenti", rischia di restare bloccato nelle pastoie burocratiche ancora per molto tempo. E presenta più di un aspetto di criticità.COME FUNZIONAIn linea generale, il contratto di ricollocazione prevede che il lavoratore divenuto disoccupato sia preso in carico da un ufficio del lavoro che ne traccia il profilo di occupabilità. Dopo la firma di un patto di attivazione, al quale è condizionato la corresponsione dei sussidi di disoccupazione, al lavoratore viene assegnato un voucher, grazie al quale potrà usufruire di servizi di formazione e ricollocazione appunto in un altro posto di lavoro. Sarà sempre il lavoratore a scegliere se avvalersi dei servizi per l’impiego pubblici o delle agenzie per il lavoro private accreditate, ai quali verrà corrisposto il compenso del "buono" solo a risultato ottenuto.COSA PREVEDE IL DECRETOIn realtà, dall’esame dell’articolo 11 del primo schema di decreto attuativo della legge delega 183/2014 (il Jobs act) emerge anzitutto che il contratto di ricollocazione sarebbe limitato ai soli licenziamenti illegittimi «per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo di cui agli articoli 4 e 24 della legge 223/91». Resterebbero esclusi dunque i licenziati per motivi disciplinari e soprattutto i lavoratori espulsi per motivi economici "validi" o ancora che abbiano "conciliato" il loro licenziamento. In sostanza alcune categorie di lavoratori che perdono il posto sarebbero meno tutelati di altri. Un altro punto critico riguarda lo strumento operativo per rendere concreto il contratto: un nuovo «Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria» istituito presso l’Inps. Nel quale confluirà la dotazione finanziaria del precedente fondo, appena istituito presso il ministero del Lavoro dopo un iter travagliato, durato un anno. E proprio il riferimento a quest’ultimo fondo – che doveva servire a far partire la ricollocazione degli esuberi Alitalia da parte della Regione Lazio – lascia intravedere tempi biblici per l’effettiva entrata in funzione del nuovo Fondo. Oltre al secondo passaggio definitivo in Consiglio dei ministri, infatti, per diventare operativo il nuovo Fondo dovrà attendere l’emanazione di un altro decreto delegato – quello sulle politiche attive – non ancora alle viste. Infine, la dotazione finanziaria è per ora limitata a 70 milioni di euro, sufficienti ad assegnare un voucher a non più di 40-50mila disoccupati in un biennio.LE VALUTAZIONICriticità evidenziate in un’analisi del centro studi Adapt dal giuslavorista Michele Tiraboschi. Secondo il quale, così «il contratto a tutele crescenti appare una fuga in avanti perché, oltre a non procedere di pari passo con la rivisitazione delle tipologie contrattuali, si pone in aperta contraddizione con i principi europei della flexsecurity che, per essere tale, presuppone l’operatività di un livello sufficiente di protezione sociale per chi perde il posto di lavoro, mediante servizi e interventi formativi che oggi non ci sono e verosimilmente non ci saranno per molto tempo».Meno negativa la visione di un altro giuslavorista, il senatore di Scelta civica Pietro Ichino per il quale «la formulazione della norma va perfezionata, ma riguarda la ricollocazione di tutti i licenziati per giustificato motivo oggettivo, pure legittimamente o a seguito di conciliazione tra le parti». Restano le perplessità sulle pastoie burocratiche che hanno bloccato persino la sperimentazione del contratto di ricollocazione nella Regione Lazio (fortemente voluta proprio da Ichino). «Non c’è dubbio – conferma il senatore – che l’anno appena passato è stato caratterizzato da una forte opposizione a questo progetto da parte della struttura ministeriale. Un’opposizione che deve essere superata, se vogliamo che il contratto di ricollocazione decolli, come può e deve». Anche l’esperienza assai deficitaria di Garanzia giovani non lascia ben sperare, soprattutto viste le inefficienze dei servizi pubblici... «Credo che i centri per l’impiego siano perfettamente in grado di svolgere il ruolo di cerniera tra i singoli lavoratori e le agenzie specializzate – risponde Ichino –. A condizione, però, che dal vertice del ministero del Lavoro e delle Regioni ci sia un forte impegno per il varo di questa iniziativa».Pronte a raccogliere la sfida si dicono infine le Agenzie per il lavoro. «Il contratto di ricollocazione e, più in generale, la riforma dei servizi rappresentano una innovazione positiva e una grande occasione per rendere il mercato del lavoro più efficiente – commenta Stefano Scabbio, presidente di Assolavoro, l’associazione nazionale delle Agenzie per il lavoro forti di 2.500 sportelli in tutt’Italia –. Per qualificare i sistemi di collocamento e di ricollocazione sono positive sia l’assegnazione di un voucher per chi cerca una nuova occasione, sia la previsione di un sistema di premialità per le agenzie, modulato in base al risultato e alla "occupabilità" e conseguente difficoltà di inserimento della persona. Su quest’ultimo punto qualche perplessità destano la capacità e la tempestività dei centri per l’impiego nella valutazione del livello di difficoltà di reinserimento dei singoli candidati. Questione che rischia di rallentare tutto il processo».
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