© ALESSANDRO DI MEO
Il pacchetto pensioni annunciato dal governo prende corpo dopo la firma, ieri pomeriggio, di un «verbale condiviso» con i leader dei sindacati confederali. Non si tratta di un accordo a tutto tondo perché Cgil, Cisl e Uil mantengono un giudizio articolato sui diversi punti, che restano in parte da dettagliare. Si tratta però della prima volta che il governo Renzi e le confederazioni raggiungono un’intesa di massima su un tema di portata così generale. Tre i principali ambiti di intervento. L’avvio della sperimentazione dell’Ape, il prestito che dal 2017 consentirà di uscire dal lavoro a partire dai 63 anni di età aggirando (in molti casi a caro prezzo) le rigidità della legge Fornero; l’aumento dei trattamenti previdenziali più bassi e l’equiparazione della
no tax area a quella dei dipendenti; infine una maggiore flessibilità in uscita per i lavoratori precoci e per quelli impegnati in mansioni usuranti.Sul piatto l’esecutivo mette sei miliardi di euro in tre anni. Il ministro Giuliano Poletti e il sottosegretario Tommaso Nannicini non hanno chiarito quale sarà l’impegno sul 2017 (si parla di circa 1,5 miliardi) e le cifre per le diverse misure. Per capire quale sarà l’impatto reale del provvedimento vanno delineate le platee dei lavoratori precoci o «usurati» che avranno diritto all’uscita anticipata e quelle dei lavoratori che avranno diritto all’Ape agevolata. È stato un «lavoro positivo» che ha consentito di trovare un accordo su diversi punti mentre su altri «bisogna ancora convenire» ma «il confronto prosegue», ha commentato Poletti. Per il segretario della Cisl Annamaria Furlan il confronto tra le parti ha segnato un «cambio di paradigma» rispetto al passato e «dopo tanti anni c’è un po’ di giustizia» anche se «non ci accontentiamo» e «resta molto lavoro da fare». Susanna Camusso, leader Cgil, ha parlato di «ipotesi condivise e altre non condivise», aggiungendo però che «per la prima volta da anni invece di tagli si sono messe risorse». «I sei miliardi stanziati non sono sufficienti e non dimentichiamo gli esodati e il resto della piattaforma», ha avvertito il segretario Uil, Carmelo Barbagallo, ma si è fatto «un buon lavoro» che «non è finito» e ora «si guarda allo stanziamento con la lente rivolta alla fase successiva».L’Ape permetterà di uscire dal mercato del lavoro con un anticipo massimo di 3 anni e 7 mesi (cioè a partire dai 63 anni) rispetto all’età della pensione di vecchiaia. La forma agevolata o «social» dovrà garantire un reddito ponte fino alla pensione «interamente a carico dello Stato». Ne avranno diritto alcune categorie in condizioni di maggior bisogno: disoccupati, lavoratori che svolgono mansioni pesanti o rischiose, in cattive condizioni di salute e impegnati ad assistere parenti di primo grado disabili. L’Ape volontaria, finanziata da un prestito bancario erogato attraverso l’Inps, dovrà invece essere rimborsata dal lavoratore nei 20 anni successivi alla pensione. Il testo non entra nel dettaglio delle penalizzazioni. Ma secondo le cifre emerse la pensione potrebbe essere tagliata fino al 25%. Una cifra rischia di bloccare l’accesso a questa misura. L’anticipo potrà essere infine frutto anche di un accordo tra il lavoratore e l’impresa che si farà carico di sostenere i costi del rimborso. Il sostegno al reddito dei pensionati prevede due misure: l’aumento della detrazione di imposta fino a 8.125 euro di reddito annuo, parificandola a quella dei lavoratori dipendenti. L’aumento di circa il 30% della cosiddetta quattordicesima, che sarà erogata a una platea più ampia: si passa da 2,1 a 3,3 milioni di persone, cioè tutti quelli con reddito fino a circa mille euro mensili.