I cittadini extracomunitari, ciechi assoluti o parziali, hanno diritto alla pensione d’inabilità e all’indennità speciale, anche se non hanno la carta di soggiorno (basta la regolare presenza in Italia). La novità, sancita dalla Corte costituzionale (sentenza n. 22/2015), è stata oggetto di indicazioni operative dell’Inps nel messaggio n. 6456/2015.La Corte era chiamata a giudicare la presunta illegittimità costituzionale dell’art. 80 della legge n. 388/2000 (la Finanziaria 2001), relativamente alla subordinazione dell’erogazione delle prestazioni assistenziali riconosciute in Italia ai ciechi al possesso della carta di soggiorno nel caso di stranieri legalmente presenti in Italia. La Corte ha ritenuto fondata l’illegittimità che si riferisce alle seguenti prestazioni:a) pensione per ciechi assoluti o ventesimisti, cioè con residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi (art. 8 della legge n. 66/1962). Questa pensione, oggi, viene attribuita a qualunque età ai ciechi ventesimisti e al compimento dei 18 anni a quelli assoluti; è pari a 279,75 euro per i primi e 302,53 euro per i secondi, al mese (per 13 mesi), in presenza di un reddito non superiore a 16.532,10 euro;b) indennità speciale per ciechi assoluti o ventesimisti (art. 3, comma 1, legge n. 508/1988) che oggi viene attribuita a qualunque età nell’importo di euro 203,15 al mese per 12 mesi, senza condizione di reddito.Con il citato art. 80, la Finanziaria 2001 aveva ammesso alle citate prestazioni, dal 1° gennaio 2001, anche gli extracomunitari a patto che fossero titolari di carta di soggiorno. Quest’ultima, si ricorda, è stata poi sostituita dal “permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo” che il cittadino straniero può richiedere, per sé stesso e i propri familiari, qualora sia in possesso dei seguenti requisiti: • soggiorno in Italia da almeno cinque anni in regola con il permesso di soggiorno;• reddito non inferiore all’importo annuale dell’assegno sociale (5.830,76 euro nel 2015). Per la Corte questa parte della disposizione non è legittima. Le ragioni, spiega nella sentenza, sono le stesse della precedente sentenza n. 40/2013 con cui ha dichiarato non costituzionale la stessa norma con riferimento all’indennità di accompagnamento. Ciò che non è legittimo, anche in questo caso, è sempre la presenza del requisito della carta di soggiorno che porta a una discriminazione e disparità di trattamento. Come nel 2013, anche adesso la Corte osserva che «nell’ipotesi in cui vengano in rilievo provvidenze destinate al sostentamento della persona nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il disabile si trova inserito, qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione», per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Sulla base della pronuncia della corte costituzionale, l’Inps ha fatto sapere che le prestazioni verranno riconosciute fino alla data di scadenza del permesso di soggiorno ed eventualmente prorogata alla consegna della ricevuta della richiesta di rinnovo rilasciata dalla Questura. E precisa che, invece, la pronuncia della corte non può trovare applicazione nei casi ormai consolidati per effetto di sentenze passate in giudicato che abbiano negato la prestazione.