venerdì 11 luglio 2014
La prima rilevazione dell'Osservatorio sulla competitività delle pmi analizza i bilanci di 56mila aziende italiane dal 2007. E individua 1.200 campioni, più forti di ogni avversità, localizzati soprattutto in Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria. Ma calcola che siano stati persi 405mila posti di lavoro.
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Centoventi miliardi di euro di fatturato andati in fumo, 405.317 posti di lavoro persi, 8.841 imprese scomparse. È la tragica contabilità dei colpi inflitti dalla crisi al sistema delle piccole e medie imprese italiane secondo la prima rilevazione dell’Osservatorio sulla competitività delle pmi della Sda Bocconi, presentato questa mattina a Milano.L’Osservatorio, che analizza l’intero universo delle imprese italiane con fatturato compreso tra cinque e 50 milioni di euro, rileva che delle 55.709 imprese di queste dimensioni attive all’inizio del 2007, il 15,9% (8.841) ha cessato di esistere entro il 2013. Queste aziende, pur costituendo solo il 6,1% delle imprese italiane, producono il 39% del Pil e occupano 2.291.000 persone.Da una parte, i dati dell’Osservatorio mostrano che le imprese sopravvissute registrano tassi di crescita lusinghieri: +26% tra il 2007 e la fine del 2012, ovvero l’equivalente di una crescita media del 4,8% l’anno, e una sola battuta d’arresto nel 2009 (-5,3%), ma con un 2012 piuttosto debole, caratterizzato da una crescita media dell’1,6% e da una metà della popolazione con crescita negativa.Dall’altro, i risultati evidenziano segni crescenti di tensione finanziaria. L’analisi del rapporto tra posizione finanziaria netta ed ebitda mostra che le imprese con un’ottima capacità di ripagare il debito (rapporto inferiore a 1,5) sono passate dal 26,7% al 21,3%, mentre quelle in chiara difficoltà finanziaria (rapporto superiore a 7,5) sono cresciute dal 17,1% al 26,3%. Il periodo di pay-back del debito si è allungato di circa un anno e mezzo e dopo una riduzione del rapporto debiti/patrimonio netto di mezzo punto (da 2,9 a 2,5) tra il 2007 e il 2008, l’indicatore non si è più mosso in modo significativo, rimanendo pericolosamente alto. Nel 2012, per la prima volta, le pmi hanno ridotto gli investimenti, nel tentativo di ridurre il debito bancario. L’incidenza degli oneri finanziari, in compenso, è progressivamente diminuita con la riduzione dei tassi d’interesse. "Ma se i tassi d'interesse dovessero tornare ai livelli del 2008 - avverte Federico Visconti, responsabile dell’Osservatorio - il costo in termini di maggiori oneri sul debito salirebbe di circa 3,7 miliardi di euro".Nel quadro di una redditività complessivamente buona (Roi medio del 7,6% l’anno nel periodo), le pmi che hanno saputo reggere meglio alla crisi sono quelle con una struttura proprietaria più concentrata, mentre le imprese di dimensioni più ridotte (tra i 5 e i 10 milioni di euro di fatturato) si sono dimostrate più redditizie, ma tradiscono una struttura patrimoniale da rafforzare.La ricerca individua, infine, 1.165 pmi (il 2,5% della popolazione) più forti di ogni avversità. Sono le aziende di successo che hanno registrato un tasso di crescita positivo e un Roi sempre superiore alla media nel periodo 2007-2012. Tali imprese sono localizzate soprattutto in Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria, hanno dimensioni superiori alla media e una storia più lunga alle spalle. I settori più rappresentati tra le pmi di successo sono il commercio all’ingrosso e il manifatturiero (meccanica, alimentari e bevande e chimico-farmaceutico in testa). Il loro tasso di crescita medio nel periodo è stato pari al 12,4% (circa due volte e mezzo quello degli altri) e la redditività operativa sempre doppia rispetto al resto delle pmi.
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