Anno 1860: nella città di Manchester, che era all’epoca la più industrializzata del mondo, il 94% dei lavoratori dipendenti erano operai e solo il 6% era costituito da imprenditori, manager e impiegati. Anno 2016: oggi la 'piramide del lavoro' è radicalmente cambiata, fin quasi a rovesciarsi. Nei Paesi avanzati gli operai rappresentano mediamente meno di un terzo di tutta la forza lavoro, mentre i due terzi sono composti da imprenditori e manager, professionisti e dirigenti, funzionari e impiegati: i cosiddetti 'colletti bianchi', dunque, rappresentano oggi la stragrande maggioranza della forza-lavoro in Occidente. E non soltanto perché la fabbrica del mondo ha coordinate nuove situate tra Canton e Hanoi. Il baricentro delle nostre attività mani-fatturiere, dei nostri servizi e perfino dei nostri comportamenti di consumo, infatti, si è spostato progressivamente e inesorabilmente dalla dimensione della quantità a quella della qualità, dalla massa indistinta alla somma delle nicchie, dai bisogni di primo livello alle scelte di gusto. Se la mappa dei lavoratori è cambiata così profondamente, non altrettanto è stato (almeno in Italia) per i modelli organizzativi e per i luoghi di lavoro. Dieci anni fa in California, nella splendida piana di Mountain View, ammiravo con stupore il 'modello Google': un modo così innovativo di concepire la 'fabbrica' da trasformare la sede di lavoro in una sorta di 'villaggio' della creatività e della qualità della vita, nel quale si produce e si crea tra una partita a tennis e un tuffo in piscina, tra una lezione di yoga e un viaggio nella realtà aumentata. Quel modello – che naturalmente è particolarmente efficiente per alcuni settori produttivi, come web e Ict, e molto meno per altri – non è ancora arrivato in Italia, neanche nei settori più creativi. Ma anche in assenza di mutamenti così radicali dei luoghi e delle condizioni di lavoro, il rovesciamento della 'piramide del lavoro' sta determinando oggi nel nostro Paese un notevole cambiamento delle esigenze dei lavoratori. Ciò che oggi la maggioranza dei lavoratori chiede (o desidera) è la flessibilità dei luoghi in cui lavorare, una maggiore autonomia nel processo produttivo, un welfare aziendale più presente ed efficiente, la possibilità di una formazione continua e – più in generale – la possibilità di lavorare su progetti in cui il contributo personale sia rilevante, riconoscibile e riconosciuto. Si tratta di una vera e propria 'rivoluzione' delle esigenze personali del lavoratore. Ancora, in gran parte, ignorate e insoddisfatte.