Per una donna su due la ripresa è ancora precaria - Archivio
La ripresa post pandemia è all’insegna della precarietà e della discontinuità occupazionale per le donne: sono a tempo indeterminato solo il 14% dei nuovi contratti e solo il 38% delle stabilizzazioni da altre forme contrattuali. Il 49,6% di tutti i contratti femminili, inoltre, è a tempo parziale, contro il 26,6% degli uomini. Si ampliano quindi i divari di genere (di occupazione e di retribuzione) e allo stesso tempo si acuiscono i divari territoriali. È la fotografia della ripresa nel 2021, che scatta il Gender Policies Report, elaborato dalla Struttura Mercato del Lavoro dell’Inapp. Il Rapporto, diviso in nove capitoli, spazia dal contesto demografico al mercato del lavoro, per concentrarsi su un’analisi delle principali politiche innovative in ottica di genere e del sistema di relazioni industriali in prospettiva di genere. Andando a esaminare il Rapporto si evidenzia come nel primo semestre del 2021 (ma la tendenza è in atto anche per i mesi successivi) i nuovi contratti attivati sono 3.322.634 di cui 2.006.617 a uomini e 1.316.017, (ossia il 39,6% del totale) a donne. Il 35,5% sono rivolti a giovani under 30, mentre oltre il 45% si colloca tra i 30 e i 50 anni senza rilevanti differenze di genere. Prevalgono per entrambi le forme contrattuali a termine, ma l’incidenza della precarietà e discontinuità per le donne è maggiore, con un ruolo prevalente della piccola impresa fino a 15 dipendenti. La ripresa inoltre non avviene alla stessa velocità e con lo stesso modello in tutte le regioni italiane. Dato comune è che in tutte le regioni i contratti stipulati a donne sono sempre inferiori a quelli degli uomini: le donne sono un terzo del totale in Basilicata, Sicilia e Calabria. Sono sotto il 40% in Calabria, Molise, Puglia, Lombardia, Abruzzo e Lazio; tutte le altre si collocano tra il 41% e il 46,5%. L’ incidenza più elevata viene registrata in Trentino Alto Adige. Rispetto alla “quantità” di nuova occupazione creata, l’Italia presenta quattro scenari diversi: con oltre i 100mila contratti a donne si collocano Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto; dalle 50mila alle 100mila attivazioni Toscana, Piemonte, Campania, Puglia e Sicilia; dai 15mila ai 99mila contratti a donne: Trentino A. Adige, Marche, Sardegna, Liguria, Abruzzo, Friuli, Calabria e Umbria e al di sotto delle 15mila attivazioni sono Basilicata, Valle d’Aosta e Molise.
Cresce il numero di donne nei Cda
Page Executive di PageGroup, che si occupa di selezione di profili a livello di direzione funzionale, ruoli apicali e membri di Consigli di amministrazione, presenta un’indagine volta a fornire una panoramica di come sono composti oggi i Cda in Italia. Nello specifico, sono stati analizzati i board di 120 pmi quotate che compongono il segmento Ftse Italia Small Cap. Tra i dati principali, lo studio prende in analisi la fascia d’età: i membri dei Cda hanno un’età media di 56 anni (53 le donne e 58 gli uomini); il componente più giovane ha meno di 40 anni, mentre quello più maturo si aggira sui 67. Gli attuali membri sotto i 45 anni costituiscono l'11% del totale, quelli che ne hanno meno di 35, invece, compongono solo il 3% dell’insieme. In particolare, i settori in cui l'età media è più avanzata sono il settore chimico e i produttori di beni durevoli, mentre nelle società di servizi la fascia d’età diminuisce. Più grande è il board, più cresce anche il numero dei più giovani che ne fanno parte. Lo studio manifesta che la metà del gruppo dei più giovani (il 3%) è caratterizzata da un membro della famiglia proprietaria. Infatti, dai dati emerge che 50 Cda su 120 (ossia il 42%) includono almeno un membro della famiglia proprietaria e nel 34% dei casi questa persona ne è il presidente, mentre nel 20% ricopre il ruolo di amministratore delegato. Per quanto concerne il genere dei componenti, l’indagine rileva una percentuale del 38% di donne su un numero totale di 947 componenti dei vari consigli. Nello specifico, nel 93% dei casi osservati ne è presente almeno una e nel 10% il numero di donne nel consiglio è superiore o uguale a quello degli uomini. Tra i board analizzati, 14 donne ricoprono la posizione di presidente. In due casi sono allo stesso tempo ceo dell'azienda. Più bassa, invece, la concentrazione di donne nell’Ict, nel Real Estate e nelle Costruzioni.
La parità di genere nel settore dei servizi: il caso Iren
Women Empowerment @Iren-Valorizzare il ruolo delle donne nelle aziende del settore energetico, infrastrutture e trasporti, è la ricerca condotta da Luiss Business School in collaborazione con Iren e realizzata con l’obiettivo di inquadrare dal punto di vista metodologico le azioni già compiute e pianificate dal Gruppo Iren, per comprendere il fenomeno della parità di genere sotto diverse prospettive, e indirizzare le future linee strategiche del gruppo. Lo studio ha preso in esame l’offerta di contenuti on line in cinque Paesi d’interesse (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna) e quattro settori (Energy, Waste, Water, Telecom), nel periodo 2017-2021. L’indagine di tipo semantico dei contenuti ha permesso di circoscrivere gli argomenti più rilevanti, e vede in testa il tema dell’uguaglianza (22.3%) inteso come parità di genere, seguito dalla disuguaglianza, che affronta la stessa prospettiva dall’accezione contraria del temine (11.2%). Analoghe conclusioni si riscontrano sia che si guardi ai risultati aggregati, sia alla distribuzione macroscopica degli argomenti tra i settori. Un focus sulla mappatura delle fonti in italiano mette in luce che i contenuti tematici relativi al gender sul web si attestano sul 20% del totale, del quale il 16% è equamente diviso tra temi di disuguaglianza (8.4%) e uguaglianza (8.1%), mentre il 2% è rivolto alla disparità salariale. L’analisi delle ricerche web compiute nei 5 Paesi di riferimento permette inoltre di scattare una fotografia dell’interesse nei confronti dei contenuti di genere, anche dal punto di vista cronologico, rilevando una tendenza in costante crescita: da 63mila ricerche mensili del 2017 alle 98mila del 2021 (+53%). I dati del Gender Equality Index misurati dall’Eige-Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, evidenziano proprio un effetto di She-cession dovuto alla pandemia, per il quale rispetto al 2019 ci saranno 13 milioni di donne occupate in meno, mentre l’occupazione maschile sarà tornata ai livelli di partenza. In Italia in particolare, le donne che hanno perso il lavoro nel 2020 sono il doppio rispetto ai colleghi uomini, a causa di posizioni lavorative meno tutelate e impiego nei settori più colpiti della crisi. Iren invece ha saputo affrontare l’emergenza Covid senza alterare i livelli di servizio e senza fare ricorso ad alcun ammortizzatore sociale, anzi assumendo negli ultimi due anni circa 800 nuovi dipendenti, di cui il 26% donne. A questi dati si aggiungono ulteriori inserimenti, prevalentemente nel settore ambientale, legati al subentro nei confronti di altri operatori su servizi assegnati a seguito di appalti. Il piano industriale Iren al 2030, recentemente presentato alla comunità finanziaria, prevede quasi 13 miliardi di investimenti in arco piano ed è sostenuto dall’ingresso di 7mila nuovi dipendenti in azienda, fra operazioni di M&A e consolidamento, e l’inserimento di nuovi profili dal mercato. In particolare entro il 2030 sono previste 3.200 assunzioni ex novo, di cui 800 nel solo 2022. L’attenzione di Iren al Women Empowerment è confermata inoltre dall’ambizioso obiettivo aziendale di avere, entro il 2030, il 30% dei manager (dirigenti e quadri) di sesso femminile. L’uguaglianza di genere – ormai entrata di diritto nell’Agenda 2030 dell’Unesco e negli obiettivi della Commissione Europea, nonché nell’agenda politica dei singoli Paesi, compresa l’Italia – è un fattore di crescita economica in grado di favorire la produttività, ridurre infortuni e assenteismo, migliorare le condizioni psico-fisiche dei lavoratori.
In Sanofi 14 settimane di congedo parentale retribuito
Sanofi concederà 14 settimane di congedo parentale retribuito a qualsiasi dipendente che avrà un bambino a prescindere dalle modalità e indipendentemente dal Paese in cui lavora, dal genere o dall'orientamento sessuale, purché il lavoratore sia riconosciuto come genitore del bambino secondo la legislazione locale. Il nuovo standard, che interesserà i dipendenti Sanofi in tutto il mondo, sarà attivo dal 1° gennaio 2022 ed è parte della strategia globale per la diversità e l'inclusione (D&I) sviluppata dall’azienda e che copre alcuni dei principali aspetti della diversità. Sanofi Italia, inoltre, di concerto con le organizzazioni sindacali, ha sottoscritto un nuovo contratto integrativo che coinvolgerà gli oltre 2mila dipendenti dell’azienda nel nostro Paese. Le novità alla base dell’accordo prevedono una serie di iniziative messe in campo da Sanofi volte a migliorare la qualità della vita dei propri collaboratori. L’accordo prevede il rispetto delle diversità, il potenziamento dei servizi di Welfare aziendale e il supporto ai dipendenti che devono assistere i propri familiari in momenti di difficoltà. Con il nuovo contratto integrativo, tutti i permessi relativi alla gestione dei figli saranno parimenti estesi ai lavoratori uniti civilmente o convivenze di fatto, senza alcuna distinzione. In particolare, per quanto riguarda il congedo parentale, a partire dal primo anno e sino ai i primi sei anni di età del bambino, il genitore riceverà un’integrazione della retribuzione in aggiunta a quanto previsto dalla legge (30% a carico Inps) sino a raggiungere il 50% della retribuzione. Inoltre, è stata sottoscritta una copertura assicurativa «Long Term Care» per tutti i dipendenti, che prevede in caso di perdita dell’autosufficienza l’erogazione di una rendita mensile vitalizia. La polizza può aiutare il dipendente a far fronte a situazioni in cui sia accertata l’impossibilità a svolgere azioni quotidiane di base. Questo nuovo strumento si aggiunge alle coperture già previste per i collaboratori di Sanofi (polizze assicurative vita e invalidità permanente già in essere) e sarà attiva a partire da gennaio 2022.