sabato 16 novembre 2024
Nei Paesi più sviluppati i migranti al lavoro sono saliti al 71,8%: in due anni +2,4%.In calo il tasso di disoccupazione (7,3%)
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I livelli di occupazione della popolazione immigrata nei Paesi Ocse hanno raggiunto la quota record di 71,8% nel 2023. Un dato positivo che si affianca a quello sulla disoccupazione che è in calo, arrivando al 7,3%, stando ai numeri contenuti nel nuovo rapporto International Migration Outlook 2024 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) che ha offerto non solo una panoramica sui movimenti e sui numeri delle migrazioni, ma anche su quanto impatto questi abbiano sull’occupazione e la creazione di imprese nei Paesi di arrivo.


0,3%
Il calo del tasso di disoccupazione tra gli immigrati nei Paesi Ocse in un anno

17%
La quota di lavoratori autonomi immigranti nel 2022 nell’Ocse (era l’11% nel 2006)

10,9%
Quota di popolazioneimmigrata sul totale in Italia (pari a 6,4 milioni di persone)

Dopo l’aumento senza precedenti nel 2022 (con un netto +2% sul tasso di occupazione salito dal 69,4 del 2021 fino al 71,4 del 2022, ndr) sono cresciute anche lo scorso anno a un ritmo più lento, le persone migranti in cerca di lavoro che hanno scelto come destinazione uno dei Paesi Ocse: nello specifico, si legge nell’ampio report che dieci paesi Ocse, tra cui Canada, Regno Unito e Stati Uniti, nonché i 27 dell’Unione europea, abbiano raggiunto i tassi di occupazione più elevati di sempre per le persone immigrate. «La forte domanda di manodopera è stata un fattore chiave della migrazione negli ultimi due anni – ha spiegato il segretario generale dell’Ocse Mathias Cormann –: molti Paesi dell’Ocse stanno affrontando una simile quanto diffusa carenza di manodopera unita a incombenti cambiamenti demografici, e questo numero crescente di lavoratori migranti ha contribuito a sostenere una crescita economica» dei Paesi di arrivo. Esclusa la Polonia, sono stati concessi più di 2,4 milioni di permessi e autorizzazioni di lavoro: è un aumento del 16% rispetto al 2022 (e del 28% in più rispetto ai livelli pre-pandemia); al tempo stesso anche i flussi di studenti internazionali hanno continuato a crescere (+6,7%), in tutti i Paesi Ocse per raggiungere oltre 2,1 milioni di nuovi permessi nel 2023. Soltanto in Polonia, escludendo le dichiarazioni di “affidamento di lavoro” per gli ucraini, il numero totale di nuove autorizzazioni al lavoro (compresi i rinnovi) è diminuito del 39% nel 2023, attestandosi a 835mila. E in generale, per le persone ucraine scappate dalla guerra, dal report dell’Ocse, si evince che in alcuni Paesi dell’Europa centrale e orientale, come Polonia, Lituania ed Estonia, il tasso di occupazione per queste persone abbia superato il 50% alla fine del 2023. Al contrario, in Paesi come Germania, Austria e Belgio, meno di uno su quattro rifugiati ucraini ha trovato lavoro. A queste differenze hanno contribuito una serie di fattori, tra cui l’esistenza di precedenti reti migratorie nei Paesi di arrivo, così come le competenze linguistiche e le politiche di integrazione.

Veniamo all’Italia, che parafrasando il titolo del celebre film dei fratelli Coen, “Non è un Paese per persone migranti”: nel 2023 la popolazione immigrata rappresentava il 10,9% della popolazione totale, con 6,4 milioni di individui, di cui il 53% donne. Guardando a un orizzonte più lungo, il numero di persone straniere è cresciuto nel nostro Paese del 13% dal 2013. Con una migrazione proveniente soprattutto da Romania (14%), Albania (8%) e dalle altre repubbliche dell’ex Unione sovietica (8%). Oggi, inoltre, il tasso di occupazione delle persone immigrate in Italia è del 64%, inferiore alla media Ocse del 71,8% così come il tasso di disoccupazione dei lavoratori stranieri è del 10,3%, superiore alla media Ocse del 7,3%.


In calo il tasso di disoccupazione (7,3%) e anche per quello di “lungo periodo” si riduce il gap tra stranieri e chi nasce nel Paese

Tra i segnali incoraggianti, anche se non vale per l’Italia, c'è quello che riguarda la diminuzione del tasso di disoccupazione di lungo periodo in 21 dei 26 Paesi Ocse: questo significa che le persone immigrate hanno quasi le stesse probabilità di trovarsi in una situazione di disoccupazione di lungo periodo tanto quanto le persone con cittadinanza (29,7% versus 26,2%). Fatta eccezione per alcuni Paesi europei come Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia e Slovenia, dove l’accesso al lavoro per le persone immigrate è ancora molto faticoso, a causa delle discriminazioni da parte dei datori di lavoro, delle barriere linguistiche, dell’assenza di una comunità di riferimento che offra una rete sociale e di riferimento, ma anche per il mancato riconoscimento di qualifiche e titoli di studi che permetterebbero di accedere a posizioni più qualificate.

Per tutte queste ragioni l’imprenditorialità è una delle scelte obbligate per chi si ritrova costretto a vivere fuori dal proprio Paese natale. Tanto che negli ultimi 15 anni, la presenza di immigrati tra gli imprenditori è aumentata in maniera consistente: nel 2022, in media il 17% dei lavoratori autonomi nei paesi Ocse erano persone migranti, rispetto all’11% del 2006. Questo aumento si è tradotto in una significativa creazione di posti di lavoro: si stima che ci siano 2 posti di lavoro aggiuntivi nell’economia per ogni 10 persone migranti in più nella popolazione in età lavorativa attraverso l’imprenditorialità, in media nei 25 paesi Ocse. Si è calcolato che l’imprenditorialità migrante abbia aggiunto quasi 4 milioni di posti di lavoro dal 2011 al 2021.

Se si guarda all’Italia esiste, però, un divario significativo tra il tasso di imprenditorialità delle persone immigrate e quello dei cittadini italiani, con una differenza del -6,1%. Questo significa che i lavoratori immigrati sono meno propensi a diventare imprenditori rispetto ai cittadini italiani, probabilmente per le difficoltà di accesso al credito, le barriere legali e la mancanza di un sostegno mirato, tutti ostacoli che ancora esistono nel nostro Paese. Condizioni che si riflettono anche sul lato dell’emigrazione: solo nel 2022 i cittadini italiani che hanno scelto di trasferirsi verso i Paesi Ocse sono aumentati del 14%, raggiungendo 152mila individui. E tra le principali destinazioni ci sono soprattutto altri Paesi europei: Spagna (32%), Germania (14%) e Svizzera (12%) che garantiscono posizioni di livello, con salari più alti se paragonati a quelli italiani. Per citarne uno dei tre, con quasi 2,9 milioni di lavoratori stranieri attivi (il 13,6% del totale) il ministero spagnolo di Previdenza sociale, inclusione e migrazioni ha calcolato che è la cifra più alta mai registrata nel Paese iberico. «La Spagna oggi è un Paese attraente per lavorare e per vivere» ha spiegato la ministra della Previdenza Sociale, Elma Saiz, aggiungendo che l’aumento dei lavoratori stranieri nel Paese «non è solo in termini di quantità, ma anche di qualità, come evidenzia la crescita di professionisti stranieri in attività scientifiche e tecniche altamente qualificate e anche in settori come informatica e comunicazione».

Dal commercio all’ingrosso e al dettaglio all’edilizia, dai servizi per la casa alla cura delle persone, fino alla ristorazione, sono questi i settori in cui lavorano maggiormente le persone immigrate in tutte i Paesi Ocse. Per quanto riguarda le donne immigrate che lavorano in proprio, la maggior parte di loro ha scelto di investire in imprese di pulizie, assistenza e cura alla persona e nell’ambito della ristorazione. Ancora in pochissimi Paesi, tra cui l’Australia, il Regno Unito, il Canada, la Germania, gli Usa e la Spagna, le persone migranti riescono a trovare impieghi di alto livello, anche in attività professionali, scientifiche e tecniche, subendo evidentemente meno discriminazioni e avendo delle barriere linguistiche più accessibili rispetto a un Paese come il nostro, dove si lavora ancora tanto utilizzando solo l’italiano. Infine, in quegli stessi Paesi, le imprese con almeno un imprenditore immigrato sono in media più innovative e investono maggiormente in ricerca e sviluppo, facendo aumentare dunque non solo la competitività del Paese dove vivono, ma anche la sua capacità di innovare e di guardare al futuro.

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