ANSA
La rivolta dei trattori ha portato alla luce una frattura tra l’Europa e gli agricoltori. Se ne è parlato ieri a Firenze,
all’Accademia dei Georgofili, dove Michele Pasca Raymondo
, che è stato uno dei più alti dirigenti europei, è intervenuto all’inaugurazione dell’anno accademico interrogandosi:
«L’agricoltura è ancora essenziale per lo sviluppo dell’Unione europea?»
Il fatto stesso che si affronti il tema nel cuore di un’istituzione scientifica che ha trecento anni ed è sempre stata europeista dimostra la gravità della situazione. Pasca, capo di gabinetto di tre commissari europei, già direttore generale dello sviluppo rurale e delle politiche regionali, ha confermato che l’agricoltura europea ha subito «una importante discontinuità» a livello globale. Esposta ai venti freddi del mercato delle
commodities
. Sfregiata dai prezzi delle materie prime e dell’energia. Costretta a grandi sacrifici nel comporre il reddito degli agricoltori e la borsa della spesa dei consumatori. Incapace di raggiungere un equilibrio tra le esigenze ambientali imposte dal cambiamento climatico, il budget agricolo e il nostro posizionamento sul mercato.
Dove, ha detto il relatore, il dominus dei rapporti è la grande distribuzione commerciale che veicola al consumatore il 75% dei prodotti agroalimentari: «Esercita una costante e negativa pressione sui prezzi che spesso attraverso gli intermediari si esercita sui redditi dei produttori». La risposta delle istituzioni è inadeguata: «La direttiva 2019/633 sulle pratiche sleali nella filiera agricola e alimentari non è stata efficace per una timida trasposizione nei paesi membri; alcuni dopo gli eventi l’hanno irrobustita per quanto riguarda i controlli o pensano di farlo, come Francia e Spagna. In Italia si cambiano alcune procedure ma il prezzo minimo resta ancorato a un costo medio di produzione stabilito dall’Ismea, che esiste solo da qualche mese e per qualche prodotto». Decreti e proposte di legge si incartano insomma su un costo medio teorico mentre i mercati ballano e si vende a qualsiasi prezzo.
I bilanci aziendali soffrono: «Se osserviamo gli indici di produzione delle varie categorie di prodotti possiamo vedere che nel 2022 i volumi sono diminuiti dal 2,3% al 4,5% diminuzione che si è poi confermata nel 2023» ha spiegato il relatore. La rabbia agricola è una conseguenza del calo della Plv e dei prezzi ma non dei costi, mentre gli aiuti sono rimasti quelli che erano ma diventando il pretesto per nuovi gravami, legati alle priorità ambientali, che vengono applicate con rigore nei confini europei ma rimangono lettera morta nei mercati emergenti.
Gli attacchi a Green Deal e Farm to Fork hanno costretto Bruxelles a un profondo ripensamento, che si è saldato alle esigenze di un ripensamento della Pac. Ieri, Pasca Raymondo ha detto che «raggiungere i nuovi obiettivi derivanti dal “Green Deal”, che qualcuno, e non solo gli agricoltori, definisce eccessivamente ideologici, è possibile con un ritmo adeguato e a condizione che almeno una parte dei relativi costi supplementari siano finanziati con aiuti e con adeguati strumenti di credito».
L’ex dirigente europeo accredita «un movimento di rigetto» della Pac, che peraltro nessuno ha contestato al momento del voto. «Ci si può sommessamente interrogare – ha puntualizzato il relatore – sul come sia stato possibile che la parte agricola e i rappresentanti degli Stati membri non abbiano percepito le difficoltà che si sarebbero venute a creare, e come ciascuno dei governi, che oggi chiedono modifiche, esenzioni e retromarce, non abbia fatto valere, sin dall’inizio, le ragioni degli agricoltori nei tavoli di negoziato di quelle misure che essi stessi ritengono, oggi, danneggiare il mondo agricolo. Ci si deve interrogare anche sulla evidente mancanza di preparazione degli apparati burocratici a livello nazionale e regionale, per l’entrata in vigore all’inizio del 2023, cosa che le due proroghe successive del regime precedente avrebbero ragionevolmente consentito».