Sulla partecipazione dei lavoratori alle imprese potremmo essere alla svolta. Storica addirittura, se si pensa che su come agevolare la collaborazione dei dipendenti alla gestione delle imprese si discute fin dal Dopoguerra, quando un richiamo ideale fu inserito nella Costituzione all’articolo 46. E da allora, come un fiume carsico, la questione ha attraversato la turbolenta stagione degli anni ’70, le ristrutturazioni industriali degli ’80 e ha fatto capolino durante le privatizzazioni dei ’90. Poi si è un po’ inabissata, per riemergere prepotentemente ora che la crisi economica mondiale ha posto, prima fra altre esigenze, quella di rendere l’economia più democratica.
Un vasto consenso E oggi, quasi fosse una congiunzione astrale favorevole, di quelle che capitano qualche volta in un secolo, i sindacati trovano nella partecipazione uno dei pochi argomenti sui quali non si fanno la guerra, mentre gli imprenditori si dicono prudentemente disponibili. Governo e opposizione invece parlano la stessa lingua. E hanno già compiuto un passo concreto: maggioranza e minoranza, che avevano presentato due proposte di legge sul tema, sono riuscite a unificarle in un testo unico, che proprio da oggi verrà posto in discussione in commissione lavoro al Senato. Così, dopo che nelle stanze di Palazzo Madama il senatore del Pd Pietro Ichino avrà illustrato la proposta unificata – frutto della fusione dei progetti di Maurizio Castro (Pdl) e Tiziano Treu (Pd) – prenderà la parola il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che darà il pieno appoggio dell’esecutivo al testo di legge, invitando anzi a spingere l’acceleratore, in particolare sulla parte che prevede la partecipazione dei dipendenti agli utili di impresa. Passerà solo qualche ora, e sempre oggi sarà il leader della Cisl a prendere posizione a favore dell’approvazione di una legge sulla partecipazione e l’azionariato dei dipendenti. Questione inscritta nel Dna stesso della Cisl, che Raffaele Bonanni nella relazione d’apertura al congresso declinerà in maniera concreta anche in riferimento al caso Fiat.
Cosa prevede il disegno di legge Il progetto unificato è una legge di indirizzo, non cala dall’alto alcun modello predeterminato, ma presenta all’articolo 1 un grande menù, offrendo a imprese e sindacati la possibilità di stringere accordi per mettere in pratica almeno 9 tipologie differenti di partecipazione: dai semplici obblighi di consultazione a carico delle aziende, all’istituzione di organismi congiunti, dalla partecipazione dei lavoratori agli utili, via via crescendo di intensità e impegno fino ad arrivare alla partecipazione azionaria dei dipendenti e al diritto a sedere con propri rappresentanti nei Consigli di sorveglianza. «Spetterà alle parti sociali scegliere il modello più adatto a quella specifica impresa e all’intensità dell’impegno che si vuole mettere in campo – spiega il relatore Pietro Ichino, che ha lavorato di cesello per arrivare a un testo che fosse ampiamente condivisibile e al tempo stesso 'leggero' –. Si valorizza così la strada della contrattazione, ponendo in competizione diversi sistemi, in un quadro normativo chiaro». Per la prima volta, infatti, spiega ancora il senatore Ichino, «si risolve anche l’annoso problema della rappresentanza per la validità erga omnes dei contratti aziendali, strumento base della partecipazione. Nella bozza di legge vengono infatti fissati i requisiti di chi è titolato a firmarli: uno o più sindacati con la maggioranza dei voti dei lavoratori o anche un’organizzazione minoritaria, se riesce a conquistare la maggioranza dei consensi in un referendum fra i dipendenti». Il disegno di legge fissa poi l’obbligo per le aziende con oltre 300 dipendenti che già hanno adottato il sistema duale (consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza) a prevedere la partecipazione di rappresentanti dei lavoratori, con una ripartizione dei posti lasciata anche in questo caso alla contrattazione. Sono però gli articoli 4 e 5 quelli nei quali si delineano gli scenari più innovativi. Anzitutto sulla partecipazione azionaria: «I contratti collettivi o individuali possono disporre l’accesso privilegiato dei dipendenti al possesso di azioni o quote di capitale, direttamente o mediante la costituzione di apposite società di investimento o fondazioni o associazioni... ». Anche una parte della retribuzione potrà essere pagata in quote azionarie dopo il raggiungimento di determinati risultati. Qui, a sostenere gli accordi entra in gioco anche la leva fiscale. Alle azioni assegnate ai dipendenti infatti spetta l’esenzione fiscale fino a 2.600 euro con un periodo minimo di possesso di 4 anni. Inoltre, «gli importi versati dai dipendenti aderenti al piano di partecipazione azionaria sino a 5.200 euro godranno di una detrazione d’imposta al 19%». Favorite tutte le forme di partecipazione agli utili attraverso voci retributive legate al raggiungimento di determinati obiettivi, al margine operativo lordo o a particolari forme di organizzazione del lavoro. Su queste voci non saranno infine dovuti i contributi previdenziali.
Il senso di una scelta Gli sconti fiscali appaiono piuttosto limitati ma secondo il senatore Pd Tiziano Treu «su questo volevamo evitare che qualcuno 'uccidesse' la creatura in culla per motivi economici. L’importante è partire, poi si vedrà come rinforzarli. Ciò che conta è l’idea di corresponsabilità tra lavoratori e imprese che rappresenta una svolta culturale». Sintonia piena con le parole del collega del Pdl Maurizio Castro: «Qui si sposano il socialismo storico di sinistra, il solidarismo patriottico della destra e l’impronta personalistica cattolica. Rispettando il principio di pluralità, mettiamo a disposizione di tutte le imprese, grandi e piccole, uno strumento per crescere assieme ai propri dipendenti, remunerandoli anche meglio».