Dopo la fuga dei cervelli, l’Italia potrebbe rischiare anche la fuga dei creativi culturali. L’ultima realtà produttiva ancora rigorosamente
made in Italy. Una risorsa certamente molto meno esportabile delle altre, ma che per diventare «sistema» ha bisogno di veri strategici investimenti. Dove per «veri» si deve intendere che abbiano un sé una portata valoriale condivisa. In cui un popolo, quello italiano, si riconosca.Dell’atipica industria della cultura e della creatività si è parlato ieri alla Triennale di Milano presentando il primo studio
Italia Creativa realizzato da Ernst & Young con le principali associazioni di categoria, guidate da Mibact e Siae. E di industria si deve appunto parlare perché cultura e creatività valgono in Italia ben 47 miliardi di ricavi l’anno (il 2,9% del Pil) e danno lavoro a circa un milione di persone, il 4,5% della forza lavoro totale. Con i giovani protagonisti: il 41% degli occupati del comparto ha infatti tra i 15 e i 39 anni, contro una media che in Italia per questa fascia d’età è del 37%. Proprio sui giovani ha insistito il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, spiegando come in passato si sia investito poco su di loro. «L’Italia è piena di talenti creativi, di giovani e di grandi maestri, e soprattutto questa creatività italiana può diventare un veicolo formidabile per la crescita». Ed è questo il punto dolente, laddove si lamenta come problema di fondo che impedisce il decollo dell’industria della cultura e della creatività, un difetto di organizzazione e di sinergie. E lo sguardo va al resto dell’Europa dove il settore vale tra il 3,1 e il 3,5% del Pil. Colmando il divario l’Italia avrebbe 15 miliardi di ricavi e 300mila posti di lavoro in più. Comunque, con i 47 miliardi di ricavi stimati nel 2014 si pone davanti al comparto delle telecomunicazioni (39 miliardi) e subito dopo l’industria automobilistica (49 miliardi).Secondo l’analisi, nel 2014 i primi tre settori specifici, per valore complessivo, dell’intero comparto sono stati Televisione e home entertainment, Arti visive e Pubblicità, con valori generati rispettivamente di 12,2, di 11,2 e di 7,4 miliardi di euro. Considerando la distribuzione degli occupati, sono invece i settori Arti visive, Musica e Arti performative a svolgere un ruolo di primo piano, con i loro rispettivi 242mila, 161mila e 151mila occupati. «La crescita dell’Italia – afferma Franceschini – non può prescindere dall’industria culturale. Dopo 13 anni di tagli alla cultura, la Legge di Stabilità ha incrementato del 27% i fondi con uno stanziamento di due miliardi. Ma il vero salto lo deve fare la nostra coscienza di cittadini. Abbiamo il differenziale più alto d’Europa tra come ci percepiamo e come siamo percepiti all’estero. Servono più fiducia e orgoglio».