mercoledì 13 agosto 2014
L'obiettivo è di sensibilizzare media, opinione pubblica, imprenditori sull'importanza dell'offerta formativa come fattore di sviluppo delle imprese italiane, ma soprattutto di rilevare la ricaduta negativa per le imprese e la società tutta.
I costi sociali della "non formazione"
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Quali sono i costi sociali della 'non formazione'? Esiste una correlazione tra mancata formazione e uno scarso rendimento produttivo dell’impresa? Sono queste alcune delle domande del sondaggio su I costi sociali della non formazione realizzato da FondItalia, Fondo paritetico per la formazione continua.Il progetto ha l'obiettivo di sensibilizzare media, opinione pubblica, imprenditori sull'importanza della formazione come fattore di sviluppo delle imprese italiane, ma soprattutto di rilevare la ricaduta negativa per le imprese e la società tutta, a partire dai costi, di una non adeguata formazione o addirittura di una 'non formazione'.Il sondaggio, realizzato con metodo cawi (computer-assisted web interviewing), è rivolto prevalentemente a imprenditori e consentirà di realizzare una raccolta completa di dati sul ruolo della formazione continua nelle imprese, sul rapporto tra impresa e formazione, sulle esigenze formative e sulla percezione di eventuali costi, anche sociali, della mancata formazione."Nonostante la riconosciuta importanza della formazione - sottolinea FondItalia - e l’affermarsi di una crescente consapevolezza della sua rilevanza, infatti, sono molte le imprese che continuano a mostrare un atteggiamento passivo rispetto all’attivarsi della formazione. Tutti noi rappresentanti dei Fondi interprofessionali dovremmo riflettere sul fatto che anche l’adesione a un Fondo e un più facile accesso ai finanziamenti per la sua realizzazione non comporta sempre l’auspicabile variazione di atteggiamento da parte dei datori di lavoro".  "Eppure, il XIV Rapporto sulla formazione continua a cura di Isfol - ricorda - ne sottolinea il potere: le imprese che hanno meglio reagito alla crisi sono state quelle che hanno mostrato capacità di innovare e al tempo stesso di investire in formazione, specialmente quella in grado di rappresentare un supporto ai processi di innovazione e di internazionalizzazione dei mercati". Da qui l’idea del sondaggio.“FondItalia non è nuovo all’utilizzo di sondaggi rivolti alle imprese e a chi vi collabora. A volte, porre le giuste domande stimola delle riflessioni in grado di animare la domanda su aspetti differenti della formazione, a partire dal possibile impatto sulla propria organizzazione e sul lavoratore e la sua eventuale possibilità di ricollocamento", ha dichiarato Egidio Sangue, vicepresidente del Fondo.“I costi della non formazione - ha sottolineato Francesco Franco, presidente del Fondo - sembrano aumentare soprattutto in quei casi in cui la mancata formazione rappresenta una inosservanza della normativa vigente o è addirittura causa di un surplus di costi per l’impresa: è il caso della mancata formazione su salute e sicurezza, molto spesso connessa a un incremento di incidenti di varia gravità dei lavoratori nei luoghi di lavoro”.“Inoltre - afferma Carlo Barberis, patron di ExpoTraining e ExpoLavoro&Sicurezza - dobbiamo porre l'attenzione anche sul mancato aumento del livello di competenze che il lavoratore subisce dalla non formazione, che si riverbera negativamente nell'aumento degli stanziamenti economici delle politiche passive del lavoro. Lo sviluppo delle competenze della forza lavoro è direttamente proporzionale all'aumento della competitività dell'azienda e di riflesso del sistema Paese. Il costo dell'ignoranza non è più accettabile né dai lavoratori né dalle imprese”. La 'non formazione', inoltre, incide negativamente anche sugli abbandoni scolastici dei ragazzi, che in questo modo vanno a ingrossare le fila dei Neet, cioè coloro che non studiano né lavorano. Mentre gli immigrati di seconda generazione si integrano maggiormente frequentando corsi professionalizzanti."In modo ancora più preoccupante - avverte ancora l'Isfol - possiamo aggiungere che la flessione che comunque si è osservata nei tassi di abbandono dei sedicenni dal 2006 al 2011 (-2,4%, dati Jrc-Crell 2012 citati in Commission Staff Document, 2012) sembra interessare solo in minima parte gli allievi e studenti nati all'estero (-3,8%) contro una riduzione del 12% per i nativi. Anche il confronto con i dati rilevati a livello europeo non è lusinghiero, esponendoci a un +13% di abbandoni nel contesto nazionale da parte degli stranieri rispetto alla media europea (dati Jrc- Crell 2012, citati in Commission Staff Document, 2012)".Dal punto di vista dell'occupabilità grande rilievo, per l'Isfol, viene dato nella percezione dei ragazzi stranieri allo stage, "che spesso è vissuto come un'ulteriore occasione di emancipazione, di avvicinamento al lavoro, attraverso la pratica sul campo di tecniche apprese in aula e in laboratorio, attraverso il rispetto delle regole, della puntualità, ma soprattutto viene offerta la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro a partire da una esperienza protetta e pilotata come quella dello stage, momento in cui il ragazzo straniero ha la soddisfacente esperienza di essere apprezzato per quello che sa fare, in atto e in potenza, al di là delle sue origini migratorie efamiliari".
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