Sono l’altra faccia degli scoraggiati, quelli che non si arrendono, ma provano a costruirsi da sé un posto di lavoro. E insieme sono l’ennesimo portato di questa crisi: ex lavoratori dipendenti rimasti a spasso, ex collaboratori senza più progetto, ma con un piano per ripartire. Sono i centomila giovani con meno di 35 anni, che nei primi nove mesi dell’anno VII del tempo della grande crisi hanno avviato un’impresa. E per i quali oggi dovremmo chiederci come tutelare e incoraggiare le loro neonate iniziative, perché non muoiano in culla.
I dati segnalati ieri da Unioncamere non rappresentano un annuncio di primavera, non ancora per lo meno: il rigido inverno dell’occupazione non è trascorso interamente. Il saldo tra mortalità e natività delle aziende, infatti, è tornato positivo per appena 7mila unità e oltre il 75% delle 300mila nuove imprese avviate in totale da gennaio sono ditte individuali. In pratica, partite Iva, nei settori più "tradizionali" come il commercio, la ristorazione o l’edilizia, assieme ai più innovativi servizi finanziari o servizi alla persona. Difficile stabilire quante di queste nuove partite Iva siano in realtà "ripieghi" o "riposizionamenti" di persone prima occupate con altre tipologie contrattuali. E quante altre si riveleranno iniziative velleitarie, brevi fiammate destinate a spegnersi nel giro di un anno con un fallimento. Tuttavia, c’è un segnale positivo che sarebbe colpevole ignorare: la resilienza dei giovani meridionali. Delle nuove imprese individuali, infatti, la gran parte (38,5%) risiede al Sud e la maggiore incidenza di quelle giovanili si registra nelle province di Vibo Valentia, Crotone e Reggio Calabria. Occorre arrivare al 17esimo posto nella classifica per trovare un territorio del Centro (Frosinone) e addirittura alla 34esima per individuare un’area del Nord (Novara). Anche in questo caso, nessuna illusione: la metà dei 3 milioni di sfiduciati che non cercano più lavoro risiede al Sud, ma questo rinnovato interesse per il lavoro autonomo, un nuovo dinamismo dei ragazzi meridionali indica quantomeno che non si è ancora spenta la luce, che il destino non è segnato.
La sfida, allora, è come canalizzare questa spinta verso la creazione di imprese più solide e innovative; come agevolarne la crescita grazie a una burocrazia leggera e un fisco più amico. Tra pochi mesi avremo a disposizione una serie di finanziamenti, frutto dell’impegno del nostro governo a porre l’occupazione al centro delle politiche dell’Unione Europea. E fondamentale sarà la funzionalità degli strumenti operativi con i quali si renderanno concreti gli interventi.
Nel frattempo, però, occorrerà aprire una riflessione anche sul trattamento fiscale e previdenziale di chi lavora in proprio. Mentre, giustamente, si sta cercando di aumentare le detrazioni per mettere qualche soldo in più in busta paga ai dipendenti e, altrettanto giustamente, si sta tagliando il costo del lavoro per le imprese, infatti, per le "Partite Iva individuali esclusive" si profila un nuovo aumento della contribuzione. Si tratta di quei professionisti iscritti alla gestione separata Inps, per i quali è previsto da gennaio l’incremento di un punto l’anno dell’aliquota previdenziale, dal 27 attuale fino al 33% come per i dipendenti. Solo che i dipendenti pagano direttamente il 9% e il resto è a carico dei datori di lavoro; artigiani e commercianti versano "solo" il 21,7%, mentre questi professionisti – che godono peraltro di un welfare davvero minimale – devono sottrarre l’intera cifra ai loro guadagni lordi. Le associazioni di settore, tutte unite, hanno rivolto un appello al governo perché blocchi i nuovi aumenti. Sarebbe paradossale se, per una parte almeno di quei centomila "volenterosi" che non si arrendono a un destino da disoccupati, si facesse scattare una tagliola così pesante.