Massimiliano Giansanti
«Credo che occorra ripartire dai valori. E quindi da alcuni capisaldi che, da sempre, caratterizzano il nostro modo di produrre e di essere imprenditori. È vero che l’agricoltura e l’agroalimentare si sono innovati nelle tecnologie e nei processi di produzione, ma i principi secondo i quali lavoriamo sono sempre quelli». Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura appena riconfermato, tratteggia con Avvenire un’agricoltura che guarda in avanti ma non dimentica origini e storia.
In un mondo che sembra dimenticare proprio i valori, fare agricoltura cosa significa per il resto dell’economia e della società?
Che i valori sono importanti. Primi tra tutti la resilienza e la solidarietà. Ogni agricoltore lavora tutto l’anno per poter garantire a tutti cibo buono, di qualità e sicuro. La natura della nostra attività è però non solo produttiva ma anche sociale e di tutela del territorio e dell’ambiente. Il terzo ma non ultimo valore secondo il quale lavoriamo è la consapevolezza del futuro: noi dobbiamo essere capaci di leggere ciò che ci aspetta e quindi adottare le soluzioni più adeguate. Siamo imprenditori in un settore moderno che non dimentica però i valori fondanti.
Intanto però anche in agricoltura accadono fatti terribili come ciò che è capitato nell’Agro Pontino.
Un fatto doloroso e deplorevole, ma non è utile generalizzare. La maggior parte dell’imprenditoria agricola è sana e rispetta le regole. Stiamo facendo molto per i lavoratori agricoli e faremo sempre di piú.
Quali sono oggi le difficoltà per far quadrare i bilanci?
La difficoltà principale è la mancanza di considerazione del nostro ruolo e della nostra funzione. Ancora oggi l’attività agricola non viene considerata un’attività economica al pari delle altre. Il tema è che in questi anni abbiamo avuto una forte contrazione della capacità di produrre reddito, dovuta però ad una serie di elementi al di fuori del nostro controllo. La dimostrazione è il dimezzamento negli ultimi venti anni del numero di imprese agricole in Italia. Eppure siamo il motore del primo comparto economico del Paese con una valore della produzione per tutta la filiera di oltre 570 miliardi di euro. L’agricoltura vale da sola 70 miliardi di valore aggiunto. Diamo lavoro ad oltre 4 milioni di persone.
Quali gli elementi al di fuori del vostro controllo?
Le tensioni internazionali, le guerre, il cambiamento climatico. Tutto questo determina una forte instabilità dei mercati, l’aumento dei costi dei fattori della produzione, la crescita dei rischi ai quali le nostre imprese sono sottoposte, l’abbassamento del potere d’acquisto dei consumatori.
Come si affronta la situazione?
Dobbiamo lavorare per cercare di stabilizzare il reddito degli agricoltori. E questo obiettivo può essere raggiunto attraverso l’innovazione tecnologica e politiche adeguate.
Politiche che in buona parte arrivano dall’Europa: a suo parere cosa va salvato e cosa va cambiato?
Partiamo dall’articolo 38 del trattato istitutivo della nostra casa comune che dice che la politica agricola serve per garantire la stabilità degli approvvigionamenti, il loro giusto prezzo e un giusto reddito per gli agricoltori. Occorre una nuova politica agricola sul modello, ad esempio, del Farm Bill statunitense che destina il 25% delle risorse per stabilizzare i redditi. Ma attenzione è necessario abbandonare la logica del sussidio e tornare a quella dell’incentivo, per produrre di più e meglio.
Questa Europa però ha appena approvato regole stringenti per la tutela della natura e dell’ambiente.
Guardi, per produrre cibo è necessario tutelare la fertilità dei suoli e la natura: noi lo sappiamo bene. Il problema è che arriviamo da un quinquennio in cui è mancato il dialogo tra agricoltori e Commissione Ue. Sono state fatte scelte sbagliate nei tempi e nei metodi. E’ necessario ricominciare tutto daccapo. Ricordo ancora una volta quanto fatto dagli Usa: oltre 200 miliardi di dollari destinati solo alla transizione ambientale. Noi invece agevoliamo l’entrata di prodotti ottenuti con standard completamente diversi dai nostri e poniamo ai nostri agricoltori vincoli tecnici impossibili da rispettare. La reciprocità deve diventare uno degli elementi qualificanti della nuova Europa.
Come vanno le cose in Italia?
Dobbiamo rafforzare le nostre filiere strategiche: le esportazioni aumentano ma crescono anche le importazioni. Serve un patto chiaro con l’industria alimentare per portare sempre più cibo italiano nel mondo; cibo che deve essere prodotto con materie prime italiane e non d’importazione. Per questo noi abbiamo lanciato Mediterranea, una compagine con Unionfood che vale 106 miliardi di euro e che offre lavoro a 650mila addetti.
Presidente che cos’è oggi l’agricoltura?
Un settore strategico che deve produrre cibo per tutti. E lo deve fare bene. Teniamo conto che il cibo oggi viene usato anche usato come un’arma. La Cina detiene il 50% degli stock delle commodities agricole, la Russia sta diventando il primo esportatore di cereali. Ci dobbiamo rendere conto di questo, delle sfide che queste condizioni pongono a tutti. Accrescere la centralità dell’agricoltura come attività economica ma anche con una grande rilevanza sociale e ambientale, significa rispondere adeguatamente a queste sfide.