"Sotto l’articolo 18, niente". Parafrasando il titolo d’un film è questo
il giudizio sul Jobs Act che viene dal mondo dei lavoratori
parasubordinati e a Partita Iva. Almeno da quelli riuniti
nell’Associazione XX Maggio, presieduta dall’ex segretario del sindacato
europeo Emilio Gabaglio, che raccoglie in particolare giovani
professionisti e precari. In un documento hanno dettagliato i dubbi
sulle misure contenute nella delega lavoro – in particolare l’allarme
per la cancellazione dei contratti a progetto – e soprattutto ciò che
manca per dare vere tutele a quel vasto e composito mondo di 3,6 milioni
di lavoratori parasubordinati.
I contratti. La
revisione delle forme contrattuali, secondo l’associazione è solo
ipotizzata nel testo della delega e rimangono esplicitamente citate le
collaborazioni coordinate e continuative e i voucher per le prestazioni
occasionali per i quali si prevede l’innalzamento dei tetti di reddito.
Per ora non si parla di eliminare né le associazioni in partecipazione,
né le false Partite Iva. Dalle ultime dichiarazioni del governo, in
pratica, l’unica forma contrattuale che verrebbe eliminata sarebbe
quella dei contratti a progetto. Un paradosso, visto che le
collaborazioni a norma del Codice civile continuerebbero a vivere e
verrebbero eliminate le tutele e i diritti introdotti con il progetto. E
soprattutto i lavoratori oggi a progetto finirebbero con ogni
probabilità per ingrossare o le fila delle false Partita Iva (oggi
269mila secondo l’Istat) o dei disoccupati. È infatti molto difficile
che un datore di lavoro triplichi i costi, visto che un contrattista a
progetto guadagna 10.218 euro lordi medi annui, contro i 24.363 euro in
media di un dipendente, senza considerare tutti gli oneri sociali a
carico delle imprese. «E questo solo perché in futuro potrebbe assumere
senza art. 18, quando anche con le altre forme di lavoro precario può
licenziare quando vuole», commenta Andrea Dili, portavoce
dell’associazione.
Partite Iva. L’aspetto
peggiore, spiega Dili, è che «non si prevede alcun intervento per le
Partite Iva individuali (gli autonomi che non sono imprese e non hanno
né dipendenti, né collaboratori: 3.266.000 nel 2013 di cui 269mila
"false"). Le imprese potranno così continuare a trasferire costi e
rischi su questi lavoratori che costano meno sia dal punto di vista
retributivo che di costo del lavoro (pagano loro stessi tutta la
previdenza) e non godono di tutele.
Ammortizzatori.
Bene l’estensione dell’Aspi (il sussidio di disoccupazione) ai
collaboratori coordinati e continuativi. Anche in questo caso, però,
vengono escluse le 182.256 Partite Iva iscritte esclusivamente alla
gestione separata Inps. «Restano così fuori da ogni forma di sostegno al
reddito i lavoratori meno tutelati e più discontinui. Per loro non si
possono usare le stesse modalità di rilevazione dello stato di
disoccupazione che si usano per i lavoratori dipendenti estendendo
l’Aspi, ma si possono adottare forme più adatte ed efficaci».
Maternità.
L’auspicabile estensione dell’indennità di maternità sembra riguardare
in realtà solo le lavoratrici pagate coi voucher, le autonome
occasionali e le lavoratrici delle associazioni sportive
dilettantistiche. Si tratta di contratti che per la loro stessa natura
sono pagati poco e nei fatti beneficeranno solo della cosiddetta
"maternità Stato", pari a circa 2.100 euro complessivi nei 5 mesi. Resta
aperto inoltre il problema delle Partite Iva iscritte in gestione
separata che, a differenza delle artigiane, commercianti o iscritte alle
casse professionali, non possono continuare a fatturare durante il
periodo di maternità, pena la decadenza dal diritto alla percezione. Ma
molte di loro hanno bisogno di lavorare comunque nel periodo di
puerperio, pena la perdita di contratti e committenti.
Coniuge a carico.
Dall’Associazione XX Maggio viene infine un avvertimento relativo alla
sostituzione della detrazione per il coniuge a carico con un credito
d’imposta per le lavoratrici: «Se il tax credit è un diverso utilizzo,
nei singoli casi, dell’equivalente della detrazione per coniuge a carico
per incentivare il lavoro femminile, la misura è positiva – scrive Dili
–. Se tuttavia le risorse dovessero essere reperite tagliando
semplicemente le detrazioni per coniuge a carico alle famiglie
monoreddito, si finirebbe per impoverire famiglie già in difficoltà».