Il 75% dei lavoratori italiani dispone di un accesso in rete sul luogo di lavoro, a un quarto del totale il datore di lavoro ha fornito uno smartphone con accesso alla rete, mentre circa la metà del campione dispone di uno smartphone personale con accesso a internet. Una connettività praticamente illimitata che, però, senza un codice di comportamento condiviso, rischia di trasformarsi in una sorta di “tecno-stress” generato dalla contrapposizione tra il 39% dei datori di lavoro, che pretende una reperibilità 24 ore al giorno 7 giorni su 7 e il 31% dei lavoratori convinto che telefono, mail e internet riducano concentrazione e produttività.Sono questi alcuni degli spunti che emergono dalla prima edizione del Work Monitor Randstad, l’analisi relativa all’andamento del mercato del lavoro svolta dalla multinazionale Olandese in 29 nazioni nel primo trimestre 2012 che, in questa edizione, si è concentrata sulle dinamiche generate nel lavoro dai dispositivi tecnologici, in particolare quelli dedicati alla comunicazione.Dallo studio di Randstad, secondo player al mondo nel mercato del lavoro, emerge chiaramente come i lavoratori italiani siano più sensibili (32%) rispetto ai colleghi stranieri alle sollecitazioni, e quindi alle distrazioni, che arrivano quotidianamente da telefono e mail e, in particolare, sono i più convinti (30% degli intervistati) che l’accesso alla rete sia un fattore in grado di far diminuire la propria produttività lavorativa.Analizzando nel dettaglio il Work Monitor, infatti, emergono dati che non lasciano spazio ad interpretazioni: il 63% del campione ammette di aver ricevuto telefonate o mail al di fuori dell’orario di lavoro o, il 52%, durante le vacanze. E se il 63% degli italiani dichiara di aver avuto impegni di lavoro in luoghi privati, solo il 33% degli intervistati ha provato a controbilanciare il “trend” occupandosi di questioni private sul luogo di lavoro..Se poi si comparano questi dati al 39% del campione italiano (leggermente superiore agli altri Paesi) che dichiara che il proprio titolare si aspetta una disponibilità pressoché totale (24/24 ore – 7/7 giorni), assistiamo ad una “volontaria” connivenza con un modello lavorativo diventato pervasivo a dismisura dove i confini tra lavoro e vita privata sono sempre più sottili.“La prima edizione del Work Monitor 2012, - commenta
Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia – sottolinea come gli Italiani, nonostante la ricca disponibilità di strumenti tecnologici di comunicazione, amino ancora i rapporti diretti e la componente relazionale. La passione italiana per la tecnologia è innegabile ma rimaniamo fortunatamente ancorati a codici comunicativi tradizionali ed emozionali che non snaturano la dimensione lavorativa. Dall’indagine emerge come i rapporti tra impresa-lavoro stiano cambiando sia in termini di velocità dei flussi informativi con un impatto sulle attività che nella colonizzazione, a volte, della sfera privata. A questo proposito credo che sia importante un’educazione e una sensibilizzazione da parte delle aziende sul valore del “Work Life Balance” e su come separare la dimensione professionale da quella privata garantendone un sano equilibrio.”Il confronto con gli altri Paesi, inoltre, da cui emerge che il 41% dei lavoratori afferma di ricevere quotidianamente più informazioni di quante ne riesca a gestire, dimostra con una certa evidenza uno stato di maggiore stress degli italiani che si traduce in momenti di “chiusura” totale verso mail e telefonate (48%). Considerata la portata del fenomeno, dunque, sarebbe utile a tutti i soggetti (impresa e lavoratori) capire quanto questa “colonizzazione del tempo libero” sia il temporaneo risultato della crisi globale o se sia una epocale trasformazione dei rapporti impresa-lavoro.Analizzando il rapporto degli italiani con “la tecnologia”, invece, i dati relativi alla “connettività stanziale” (quella sul luogo di lavoro) testimoniano che internet è ormai diventato uno strumento di lavoro scontato e largamente diffuso utilizzato quotidianamente dal 75% degli italiani (vs. India 93%, Cina 93%, e Malaysia 89%). Il dato (52%) relativo alla “connettività nomade” attraverso gli smartphone, invece, seppur bassa rispetto ad altri paesi come Cina (84%), Hong Kong (79%), India e Malaysia (71%), è utile per delineare un identikit del lavoratore italiano medio: chi si connette alla rete fuori dagli orari lavorativi è in prevalenza maschio (30% vs. il 18% delle donne), tra i 18 e 44 anni (28% vs. 18% tra 45-64 anni) e impiegato nel settore privato (26% vs. 20% del settore pubblico).Per quanto concerne i rapporti di lavoro, infine, malgrado la ricca disponibilità di strumenti virtuali che agevolano la comunicazione fra le persone, il 73% degli italiani afferma ancora di preferire la relazione diretta a testimonianza, da un lato della rilevanza della componente socializzante (grooming) nello stabilire e sviluppare le relazioni, dall’altro che le relazioni dirette permettono di collezionare l’intera gamma dei segnali comunicativi, rendendo la relazione più completa sia sul piano emozionale sia sul piano funzionale difficilmente raggiungibile da una mail o da un messaggio di testo. In sintesi il Work Monitor Randstad mette in luce un punto di frattura, una sorta corto-circuito dovuto ad uno stato di saturazione certamente molto sofferto dai lavoratori italiani ma (sebbene appaiano più razionali ed in parte più difesi), anche dai colleghi stranieri. Inoltre l’assenza di una regola chiara e condivisa o di un confine normativo nell’utilizzo degli strumenti tecnologici oltre a generare difficoltà nell’individuo, influenza a volte negativamente lo svolgimento del lavoro quotidiano. La conseguenza è un effetto paradosso: gli strumenti per migliorare l’operatività e qualificare la produttività rischiano di diventare antagonisti proprio degli obiettivi per i quali sono stati adottati.