Questo spirito di adattamento trova conferma anche passando dagli atteggiamenti generali alla valutazione qualitativa specifica dell’attuale impiego. Tra chi ha un lavoro solo il 17,5% si dichiara pienamente soddisfatto, mentre quasi il 24% lo è poco o per nulla.
Un giovane su quattro, quindi, pur di lavorare e non rimanere a casa a rigirarsi i pollici, accetta un impiego lontano dalle proprie aspettative. La percentuale di non soddisfatti arriva a un giovane su tre al Sud, dove le opportunità sono generalmente più scarse.La ricerca evidenzia ancora che se si chiede in generale quanto si è soddisfatti della propria situazione finanziaria, prevalgono i non soddisfatti (50,8%), valore che rimane pressoché identico anche per i laureati (51%).
“Un dato”, commenta Alessandro Rosina, tra i coordinatori dell’Indagine del Toniolo, “che ci conferma come molti giovani – contrariamente allo stereotipo che li indica come schizzinosi o bamboccioni – si adattino a una remunerazione più bassa e a un lavoro non soddisfacente come soluzione provvisoria per cercare di superare la crisi evitando così di ingrossare le fila dei disoccupati. Da qualche anno il primo maggio è per i giovani soprattutto la festa del lavoro che non c’è, non solo nel senso che non lo si trova ma anche perché quello che si trova non aiuta a conquistare una piena autonomia e a porre basi solide per il proprio futuro”.
Riguardo alle varie dimensioni della soddisfazione dell’attuale attività lavorativa, un giovane su due si adegua ad un salario sensibilmente più basso rispetto a quello che considera adeguato. Una quota molto alta, quasi pari al 47% si adatta a svolgere una attività che non è coerente con il suo percorso di studi. Il problema della bassa stabilità del lavoro riguarda invece un giovane su tre. Compensa il relativamente buon rapporto con superiori e colleghi.
La via verso l’estero
Le nuove generazioni italiane trovano più difficoltà, sia rispetto al passato sia relativamente ai coetanei degli altri Paesi, nel conquistare una propria autonomia dalla famiglia di origine e nel realizzare le condizioni per formare una propria famiglia. Questo evidentemente accentua ulteriormente, in prospettiva, la bassa natalità e quindi anche l’invecchiamento. Le difficoltà di stabilizzazione occupazionale e di adeguata remunerazione producono anche una grave perdita di fiducia da parte dei giovani, in primis verso la società che non offre loro spazio e non li valorizza, ma poi anche verso se stessi e le proprie capacità. Con l’esito di incentivare la strategia di uscita verso l’estero o a rivedere al ribasso le proprie aspettative, a dar di meno rispetto a quanto potrebbero lasciando in larga parte sepolti i loro talenti. A conferma di questo un altro dato che emerge dalla ricerca riguarda è che quasi il 42% dei giovani si dichiara pronto ad andare all’estero per migliorare le proprie opportunità di lavoro. Solo il 25% non è disposto a trasferirsi. I più propensi a muoversi oltre confine sono i giovani del Nord (si sale oltre il 44,5%) e di sesso maschile (oltre il 45% dei maschi contro il 38% delle ragazze).
La famiglia unica vera certezzaOltre l’85% afferma poi che la famiglia rappresenta un sostegno fondamentale. Infatti, i desideri e le aspettative delle giovani generazioni non sembrano, almeno per il momento, segnare il passo, nonostante le difficoltà e la congiuntura economica negativa la famiglia rappresenta una fondamentale certezza. Le persistenti difficoltà del presente e l’incertezza del futuro rischiano però di frenare i progetti dei giovani (oltre il 63% dopo essere uscito per studio o lavoro è tornato a vivere con i genitori) rendendo per molti la casa dei genitori una prigione dorata: per più della metà degli intervistati la famiglia si configura come rifugio dal mondo (il 26,5% è molto d’accordo con questa definizione mentre il 40% si dichiara abbastanza d’accordo).