martedì 24 febbraio 2015
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Non si contano più ormai le affermazioni e gli articoli in cui l’intesa finalmente firmata ieri fra Roma e Berna, dopo tre anni di annunci e trattative, è stata definita «storica». E qualche ragione, in effetti, stavolta c’è ad usare tale termine. Il segreto bancario viene a cadere, ma - al di là di questa "targa" epocale - dietro i termini dell’accordo si nasconde un sostanziale pareggio, come per ogni trattativa complessa che si rispetti: la Confederazione perde il segreto, appunto, e non porta a casa (almeno per ora) il libero accesso al mercato finanziario tricolore, ma sull’altro piatto della bilancia mette in salvo qualche decina di miliardi di depositi italiani dalla longa manus dell’Agenzia delle entrate. Si tratta in particolare dei soldi "espatriati" nelle annualità fino al 2009, quelle prima della crisi (e quindi, si presume, più "ricche"). Così il nostro Fisco perde centinaia di milioni di potenziali imposte dovute, da sottrarre da quella "grande incognita" che è rappresentata dall’incasso atteso da questo capitolo. Il governo è sempre stato ben attento a non fornire cifre ufficiali, ma da tempo la stima che circola parla di almeno 6-6,5 miliardi che dovrebbero affluire all’Erario.Fermo restando che l’intesa segna senz’altro un punto fermo d’ora in poi nei rapporti con la Svizzera, c’è da considerare il ritardo con cui si è arrivati a questa decisione. I tempi lenti della politica, sottolinea un operatore bancario, sono stati in fondo una norma che ha aiutato gli evasori. È infatti dalla fine del 2013 che in Italia si parla delle norme sul rientro dei capitali, che in pratica hanno viaggiato pressoché in parallelo all’intesa con le autorità di Berna (essendo a essa propedeutiche). Già il governo Letta aveva messo in campo un decreto-legge che poi fu fatto decadere. È toccato poi alla legge del governo Renzi, entrata in vigore il 1° gennaio scorso. Lungo tutti questi mesi, tuttavia, chi aveva delle posizioni irregolari ha avuto tutto il tempo di spostare i suoi capitali in altri "paradisi fiscali" o, meglio ancora, di assumere la cittadinanza svizzera per poter tutelare il suo patrimonio. Certo, gli spazi sono sempre più stretti per chi vuole evadere le tasse (e, soprattutto, si fa erta quella che era finora la "comoda" via svizzera). Ma costoro hanno avuto il tempo di ri-organizzare le loro scelte.
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