Il lavoro entra in carcere. Anzi la formazione. L’iniziativa è di Unindustria, che ha trovato terreno fertile nella casa di reclusione di Rebibbia a Roma. È iniziata, infatti, la seconda edizione del Corso per la ricerca attiva del lavoro - con ulteriori dieci incontri bisettimanali di quattro ore - rivolto agli ospiti della casa di reclusione romana, promosso dalla Sezione Consulenza, Attività professionali e Formazione di Unindustria e patrocinato dal garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, con la direzione scientifica di Orienta e finanziato da Form Temp.
«Il progetto di formazione per sostenere la reintegrazione delle persone detenute - spiega Roberto Santori, presidente della sezione Consulenza di Unindustria - rappresenta un esempio concreto ed esemplare di impegno e responsabilità sociale, riconosciuto e apprezzato dalle istituzioni e dalla società. La legge italiana prevede bonus contributivi e fiscali per le aziende pubbliche o private e le cooperative sociali che organizzano attività di servizio o produttive all’interno degli istituti penitenziari impiegando lavoratori detenuti. Sono previsti inoltre contributi per aziende che impiegano con contratti di lavoro subordinato di durata di almeno 30 giorni, detenuti ammessi al lavoro all’esterno, in semilibertà ed ex detenuti». La prima edizione del progetto si è conclusa martedì 28 gennaio con l’incontro finale tra i detenuti che hanno partecipato alla formazione – 50 ore di lezione – e le aziende che hanno aderito all’iniziativa, ma il 21 gennaio è già stata avviata una seconda edizione. Sette persone del primo corso hanno potuto sostenere colloqui di lavoro con imprenditori e responsabili del reclutamento di Bridgestone, Orienta, Bat (British American Tobacco), Abbvie e Fassi per farsi conoscere e per consentire alle aziende di valutare le loro competenze. L’obiettivo è il reinserimento nel mondo del lavoro. In caso di riscontro positivo verrebbero attivati dei canali per permettere ai detenuti di muovere i primi passi in un mondo con cui hanno perso i contatti (o che non hanno mai conosciuto).
«Il tutto è nato due anni fa, quando sono stato invitato a parlare in carcere durante una giornata di formazione – racconta Santori –. Sono rimasto molto colpito dal vedere i detenuti così affranti e ho compreso l’importanza di agire». Da lì, la ricerca dei fondi che hanno permesso l’avvio del corso-pilota. Durante la formazione i detenuti hanno appreso come relazionarsi sul posto di lavoro e scrivere un curriculum per valorizzare le proprie competenze. «Si pensa al carcere come luogo di pena e non come luogo in cui può prodursi una nuova volontà di modificarsi e diventare uomini nuovi, ma è sbagliato – dice Nadia Cersosimo, direttrice della casa di reclusione di Rebibbia –. C’è la volontà dell’imprenditoria di trovare posto per queste persone all’interno del mondo del lavoro: bisogna cominciare a pensare al detenuto come risorsa positiva. I detenuti non devono lasciarsi sfuggire questa occasione. Il percorso in carcere ha un senso grazie a iniziative come queste, che permettono di reinserirsi nella società».
La missione è creare un ponte tra il penitenziario e le industrie, per far sì che si riduca il rischio della recidiva da parte dei detenuti, e per consentire alle aziende di guardare a queste persone in maniera più razionale, usufruendo anche delle agevolazioni fiscali previste. «Quello di Rebibbia è un esempio virtuoso – sottolinea Santori – e il nostro sogno è portarlo anche a livello nazionale. Lamentarsi non serve, il mondo del lavoro non è facile per nessuno. Tutti hanno dei punti di forza: è su questo che bisogna lavorare». Il garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia è stato chiaro: «È una sconfitta se si sta in carcere e non si sa dove andare una volta fuori». Elena Anfosso, direttore Risorse umane di Bat, nel dare le sue indicazione per i colloqui ha posto l’accento sulla «attitudine» con cui ci si presenta: «Bisogna avere l’umiltà di imparare. Le aziende migliori sono quelle in cui i dipendenti remano tutti nella stessa direzione». Manuela Vacca Maggiolini, direttore Risorse umane di Abbvie, ha ricordato come nei colloqui «bisogna essere bravi a raccontare la propria storia, valorizzando i propri talenti». Anche Andrea Fassi, amministratore delegato dell’azienda di famiglia, ha parlato della necessità «di trasformare la propria competenza in valore». Per Silvia Brufani (direttore risorse umane di Bridgestone), «ogni persona può portare valore nel mondo del lavoro». Infine Pamela Pierangeli, area manager Lazio e Campania di Orienta, ha invitato i detenuti a «documentarsi prima sull’azienda con cui si fanno i colloqui, per avere maggiore consapevolezza di sé».
Insomma un'iniziativa da lodare. Tanto che perfino i detenuti hanno ringraziato con una lettera per l'opportunità che gli è stata offerta della formazione e dei colloqui in vista di un'inclusione lavorativa: «Ci sentiamo come non mai al centro di un'attenzione mai vista prima. I componenti del gruppo esprimono il profondo ringraziamento dell'offerta e del trattamento ricevuto, con la speranza di poter dimostrare con il lavoro la riconoscenza doverosa per la possibilità ricevuta».
Lo stesso ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha ribadito alla Camera come il ministero abbia «investito la maggior parte delle proprie energie puntando sul lavoro dei detenuti come forma privilegiata di rieducazione. Al 30 giugno dell'anno scorso risultano 16.850 detenuti lavoranti, frutto anche dei circa 70 protocolli con enti per lavori di pubblica utilità». Tra questi protocolli anche quello firmato di recente con Tim. L’accordo prevede di avviare interventi formativi, rivolti sia ai dipendenti del ministero della Giustizia sia ai detenuti, per favorire l’apprendimento e l’utilizzo delle tecnologie digitali. Tim metterà a disposizione le iniziative di Operazione Risorgimento Digitale, il progetto di educazione digitale itinerante in tutte le 107 province italiane che, con oltre 400 formatori, vedrà coinvolti un milione di cittadini, piccole e medie imprese e dipendenti pubblici.