Un momento della rassegna "Economia sotto l'ombrellone" - Archivio
Le imprese sociali che devono avere come obiettivo statutario l’interesse generale della comunità sono in netta crescita: in Italia ce ne sono 16mila (95% delle quali nella forma di cooperative sociali), con 460mila addetti, in maggioranza donne, con ricavi pari a circa 15 miliardi di euro. Un vero e proprio sistema imprenditoriale, che però è ancora molto poco conosciuto e troppo spesso sottovalutato, nonostante, per esempio, i due terzi dei servizi di welfare prestati in Italia siano garantiti da imprese sociali. «Il punto che distingue le imprese sociali dal volontariato – ha spiegato Paolo Felice, presidente di LegacoopSociali Fvg, nel corso della rassegna Economia sotto l'ombrellone – è proprio l’approccio imprenditoriale che spinge le imprese sociali a realizzare utili, non per fini di lucro, ma per reimpiegarli in attività nell’interesse generale della comunità. In Friuli Venezia Giulia, in particolare, le imprese sociali sono 210, con circa 15mila addetti, dei quali 800 circa sono persone svantaggiate (con un’invalidità superiore al 46%) e generano un fatturato di 600 milioni di euro». Le imprese sociali sono in massima parte cooperative sia di tipo A, e quindi cooperative di operatori che si occupano di riabilitazione nell’ambito della disabilità, della salute mentale, dell’assistenza a minori e anziani, sia di tipo B, e quindi cooperative di inserimento lavorativo che devono impiegare almeno il 30% di persone in condizioni di svantaggio come, per esempio, invalidi, carcerati, persone in cura per dipendenze». «I servizi che le imprese sociali forniscono – ha sottolineato Michela Vogrig, presidente di Cosm – sono di molti tipi, si va dalle pulizie alla manutenzione del verde, dai call center alla tipografia dalla ristorazione fino alla produzione di componentistica meccanica e molto altro ancora. Servizi che sono prestati in ospedali, enti pubblici, scuole e via dicendo senza che gli utenti se ne rendano conto. Proprio il fatto che gli utenti non colgano la differenza con servizi prestati da imprese non sociali è un nostro grande orgoglio perché sfata quel pregiudizio, purtroppo ancora diffuso, che tende a vedere le imprese sociali come imprese di serie b, mentre sono in tutto e per tutto imprese gestite con professionalità, ma che hanno nell’utilità sociale e non nello scopo di lucro il loro motivo di esistere» Dal canto suo, Cristiano Cozzolino, presidente della cooperativa sociale Lybra di Trieste, ha ricordato come «spesso le cooperative e le imprese sociali, come la nostra nascono dall’iniziativa di pochi che vogliono realizzare qualcosa che abbia un impatto positivo sul territorio, rendendo protagoniste dell’attività imprenditoriale, del proprio lavoro e di un percorso di cittadinanza attiva persone che raramente riescono a esserlo. Con una cittadinanza in cui, anche a causa della pandemia, il disagio e le condizioni di svantaggio, sono in drastico aumento e nella quale la popolazione anziana è in continua crescita, il ruolo delle imprese sociali non va dunque trascurato perché molto spesso per alcune persone sono una delle poche occasioni, se non l’unica, di trovare un lavoro, un ruolo nella società e una vita serena». Le imprese sociali, la cui grande utilità è stata significativamente riconosciuta e sostenuta sia dall’Agenda Onu 2030 con l’obiettivo 8°, sia dal Piano d’azione per l’economia sociale approvato dalla Commissione Europea a dicembre 2021, hanno trovato una sistematizzazione, seppur con qualche eccessiva complicazione burocratica, anche nella riforma nazionale del Terzo settore, ma continuano purtroppo a essere poco considerate. «In tal senso – hanno sottolineato i tre relatori - va rimarcato come purtroppo in molti Paesi gli auspici e le indicazioni dati dalle organizzazioni internazionali trovino un accoglimento scarso o incompleto. In Italia, tutto sommato, la situazione è piuttosto buona perché abbiamo una normativa abbastanza completa tesa a favorire la nascita e la crescita delle imprese sociali, con finanziamenti interessanti, anche se troppo spesso sottoposti a vincoli burocratici e a lungaggini difficilmente sostenibili dalle imprese sociali, soprattutto se piccole. Rimane, tuttavia, stupefacente come nella campagna elettorale in corso il tema della cooperazione e dell’impresa sociale sia quasi totalmente assente. Certo il nostro è un mondo complesso e variegato di non facile lettura e difficilmente inseribile in “slogan elettorali”, ma lascia basiti il fatto che un settore che riguarda quasi mezzo milione di persone e ha un’importanza sociale (e anche economica) innegabile sia quasi ignorato nei programmi dei vari partiti».
Fondi alle cooperative sociali che assumono rifugiati
Il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Andrea Orlando ha firmato nei giorni scorsi il decreto interministeriale che stabilisce i criteri di assegnazione di un contributo (riduzioni o sgravi contributivi) in favore delle cooperative sociali che abbiano assunto persone alle quali è stato riconosciuto lo status di protezione internazionale. Il contributo, spiega il Ministero in una nota, è riconosciuto sotto forma di esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico delle cooperative sociali dovuti per le assunzioni, con esclusione dei premi e contributi dovuti all'Inail, nel limite massimo di importo pari a 350 euro su base mensile. Il contributo si applica per ciascuno degli anni dal 2018 al 2020, per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato decorrente dal primo gennaio 2018 e con riferimento ai contratti stipulati non oltre il 31 dicembre 2018, per le persone cui è stato riconosciuto lo status di protezione internazionale a partire dal 10 gennaio 2016. Il beneficio sarà riconosciuto in base all'ordine cronologico di invio della domanda all'Inps da parte delle cooperative sociali e comunque fino all'esaurimento delle risorse disponibili: il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha già messo a disposizione dell'Istituto 500mila euro. Non verranno riconosciute ulteriori agevolazioni, salvo eventuale integrazione delle risorse, da parte del ministero, entro il limite massimo complessivo previsto per il triennio 2018-2020, pari a 1,5 milioni di euro.