Il Covid rallenta la crescita delle imprese guidate da donne - Archivio
Resilienti, tenaci, pronte anche più degli uomini a mettersi in gioco. È la foto del milione e 340mila imprese guidate da donne, che emerge dal IV Rapporto sull’imprenditoria femminile, realizzato da Unioncamere. Queste imprese, che sono il 22% del totale, negli ultimi cinque anni sono cresciute a un ritmo molto più intenso di quelle maschili: +2,9% contro +0,3%. In valori assoluti l’aumento delle imprese femminili è stato più del triplo rispetto a quello delle imprese maschili: +38.080 contro +12.704. In pratica, le imprese femminili hanno contribuito a ben il 75% dell’incremento complessivo di tutte le imprese in Italia, pari a +50.784 unità. Anche se ancora fortemente concentrate nei settori più tradizionali, le imprese di donne stanno crescendo soprattutto in settori più innovativi e con una intensità maggiore delle imprese maschili. È il caso delle Attività professionali scientifiche e tecniche (+17,4% contro +9,3% di quelle maschili) e dell’Informatica e telecomunicazioni (+9,1%,contro il +8,9% delle maschili).
Lazio (+7,1%), Campania (+5,4%), Calabria (+5,3%), Trentino (+5%), Sicilia (+4,9%), Lombardia (+4%) e Sardegna (+3,8%) le regioni in cui le aziende al femminile aumentano oltre la media. In termini di incidenza territoriale, sul totale delle imprese, al vertice della classifica si incontrano tuttavia tre regioni del Mezzogiorno (Molise, Basilicata e Abruzzo), seguite dall’Umbria, dalla Sicilia e dalla Val d’Aosta.
Di fronte al Covid, però, molte aspiranti imprenditrici devono aver ritenuto opportuno fermarsi e attendere un momento più propizio. Tra aprile e giugno, infatti, le iscrizioni di nuove aziende guidate da donne sono oltre 10mila in meno rispetto allo stesso trimestre del 2019. Questo calo, pari al -42,3%, è superiore a quello registrato dalle attività maschili (-35,2%). Anche per effetto di questo rallentamento delle iscrizioni, sul quale ha inciso il lockdown, a fine giugno l’universo delle imprese femminili conta quasi 5mila unità in meno rispetto allo scorso anno.
«L'imprenditoria femminile è uno dei settori strategici da promuovere, sia per lo sviluppo del Paese che per il raggiungimento di un pieno empowerment femminile anche nel contesto lavorativo». È quanto ha dichiarato la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, che ha aggiunto: «Serve sostenere e incentivare la presenza femminile nelle Ppmi, settore privilegiato per il lavoro delle donne. Abbiamo quindi individuato, come Dipartimento per le pari opportunità, tre direzioni di intervento: accesso al credito e formazione finanziaria, per i quali dall'inizio della crisi sanitaria abbiamo già incrementato di cinque milioni di euro il fondo destinato al credito delle pmi femminili; un piano nazionale di formazione al digitale, con particolare attenzione ai settori e alle categorie di donne imprenditrici, che sono maggiormente escluse da tali percorsi formativi; promozione incentivata, tra le imprese femminili, e condivisione di strumenti di welfare e di conciliazione tra la vita familiare e quella lavorativa. Sono convinta che il coraggio delle donne che sanno osare scelte innovative possa fare di queste imprese il primo passo per la ripartenza di tutto il Paese».
Per il sottosegretario allo Sviluppo economico, Giampaolo Manzella, «i dati di Unioncamere sono solo gli ultimi a dirci che c'è ancora un ritardo importante sulla partecipazione delle donne alla vita di impresa, con implicazioni molto forti in termini economici. Nella azione del Mise a sostegno delle pmi ci sono tre assi di intervento sui quali concentrarsi: Incentivi alle imprese sotto forma di prestiti e contributi, con un'azione a favore delle startup femminili; Sensibilizzazione culturale per 'far capire' nella società il valore dell'impresa femminile; Azioni di assistenza tecnica alle imprenditrici per aiutarle a "fare impresa". Il tutto in stretto contatto con le Regioni e il sistema camerale e nella prospettiva di un Recovery Fund che tocchi i nodi italiani: di cui questo è sicuramente uno».
«In Italia ci sono più di un milione e 300mila imprese femminili che crescono ogni anno un po’ più delle altre - ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli -. Durante il periodo di emergenza abbiamo visto invece un rallentamento della nascita di queste imprese, a testimonianza del fatto che il peso più rilevante in quelle fasi difficili è ricaduto e ricade sulle spalle delle donne. Anche per questo dobbiamo rafforzare gli strumenti utili per sostenere le donne a far nascere e crescere le loro imprese.
Nelle regioni del Centro-Nord si registra la riduzione più consistente del numero di nuove imprese femminili (-47,0%). Il Mezzogiorno si “ferma” invece al -34,1%. In valori assoluti, le iscrizioni rallentano soprattutto in Lombardia (-1.776), Lazio (-1.222), Campania (-965), Piemonte (-913), Toscana (-911), Emilia-Romagna (-789), Veneto (-732).
Il forte calo delle iscrizioni rischia anche di rallentare quel processo di rinnovamento che si sta realizzando in questi anni nelle generazioni più giovani. Un rinnovamento che emerge con chiarezza dall’indagine di Unioncamere realizzata su un campione di 2mila imprese di uomini e di donne, contenuta nel IV Rapporto sull’imprenditoria femminile. I dati, raccolti a ridosso dello scoppio della pandemia, analizzano la risposta di genere all’interno del mondo delle imprese giovanili di fronte ad alcuni temi chiave della competitività e mostrano come le difficoltà innescate dal Covid 19 possano colpire maggiormente il mondo dell’impresa femminile, più sensibile al ciclo economico di quello maschile (il 21% delle imprese femminili ritiene di essere più esposto all’andamento negativo dell’economia contro il 18% degli imprenditori).
Infatti, le giovani donne d’impresa hanno una minore propensione all’innovazione rispetto ai coetanei uomini (il 56% delle imprese giovanili femminili ha introdotto innovazioni nella propria attività contro il 59% imprese giovanili maschili); investono meno nelle tecnologie digitali di Industria 4.0 (19% contro il 25% delle imprese giovanili maschili); sono meno internazionalizzate (il 9% contro il 13%); hanno un rapporto difficile con il credito (il 46% delle imprese femminili di under 35 si finanzia con capitale proprio o della famiglia). Inoltre, solo il 20% delle imprese di giovani donne ricorre in misura notevole al credito bancario e, tra tutte le imprese under 35 che lo richiedono, sono più le giovani imprese femminili, rispetto a quelle maschili, a lamentarsi di non aver visto accolta la richiesta o di averla vista soddisfatta solo in parte dalle istituzioni bancarie (8% vs 4%).
Questi elementi di fragilità peraltro si inquadrano all’interno di un sistema di “buona” giovane impresa che condivide, in misura spesso più diffusa dei colleghi uomini, una serie di valori fondanti.
L’impresa giovanile femminile, infatti, è più attenta all’ambiente, guidata soprattutto dall’etica e dalla responsabilità sociale: la quota delle giovani imprese rosa che investono nel green mosse dalla consapevolezza dei rischi legati al cambiamento climatico è superiore a quella dei giovani imprenditori maschili (31% vs 26%). L’attenzione al welfare aziendale è decisamente elevata tra le giovani imprese femminili, che, ad esempio, offrono maggiori possibilità di smart working ai propri dipendenti (50% tra le femminili contro il 43% di quelle maschili); hanno adottato in misura maggiore iniziative volte a sostenere la salute e il benessere dei propri lavoratori (72% contro 67%) e sono più propense a sviluppare ulteriormente attività di welfare aziendale nei prossimi tre anni (69% contro 60%).
Le giovani imprenditrici, la cui spinta a fare impresa deriva in misura maggiore rispetto agli uomini dal desiderio di valorizzare le proprie competenze ed esperienze professionali (24% contro 21%), danno lavoro di più ai laureati (41% contro 38%) e intessono rapporti più stretti e frequenti con la comunità territoriale (il numero medio di stakeholder con i quali l’impresa giovanile femminile intrattiene rapporti è pari a 3,81, contro 3,58 dei coetanei uomini).