Il passaggio generazionale è una fase delicata per l'azienda e i suoi dipendenti - Archivio
Passaggi generazionali complessi e non pianificati in anticipo con figure esperte, fondatori che, pur in “pensione”, non lasciano realmente spazio agli “eredi”, conflitti tra familiari, figli talvolta non idonei al nuovo ruolo nell’impresa di famiglia e che iniziano la loro carriera con ruoli apicali pur non avendo una formazione adeguata. Risultato? Aziende che in molti casi registrano dopo due anni dal passaggio del testimone un peggioramento a livello generale (per il 33%) e nel rapporto e nella gestione dei dipendenti (per il 40%). Eppure la situazione cambia radicalmente quando i figli eredi ricevono una formazione in linea con il loro nuovo ruolo, come fare esperienze in altre aziende o ricoprire incarichi non apicali in tutte le divisioni aziendali per conoscere a fondo l’impresa familiare: in questo caso, oltre a eguagliare i propri genitori nella gestione dell’attività, migliorano le performance aziendali. È la fotografia delle aziende e degli imprenditori italiani che emerge dall'analisi condotta dalla società Studio Temporary Manager S.p.A. -specializzata nei servizi di temporary management- condotta su un campione di manager (C-Level, quadri direttivi, ecc.) che ha vissuto almeno un passaggio generazionale negli ultimi dieci anni. Un’analisi significativa se si considera il tessuto produttivo italiano: secondo i dati più recenti dell’Istat, il 75,2% delle imprese con oltre tre addetti, pari a oltre 777mila aziende, è controllata da una persona fisica o da una famiglia, e oltre un quinto di queste (20,5%) tra il 2013 e il 2023 ha affrontato o affronterà il passaggio del testimone. Una fase delicata in quanto alla terza generazione sopravvive solo il 15-20% delle imprese.
Per questo sarà importante capire se gli imprenditori sapranno gestire al meglio questa fase di transizione e se i figli saranno all’altezza dei loro genitori per garantire la continuità aziendale. Considerando l’ultimo passaggio del testimone conclusosi, si vede come la motivazione principale di chi ha lasciato le redini dell’azienda è l’età (indicata dal 39% del campione), che avviene mediamente a 72 anni. Ma c’è anche chi lo ha fatto per una questione di stanchezza generale (20%), su pressione dei figli (19%), costretto da problemi di salute (16%) o da morte prematura (8%). In ogni caso, per il 63% dei manager si è trattato di un passaggio complesso, a causa di conflitti importanti con i familiari (49%), di un’attività non pianificata con largo anticipo (42%), dell’incapacità da parte dell’imprenditore di gestire questa fase (39%) o per l’inadeguatezza della nuova figura, non all’altezza del ruolo (36%). Un aspetto importante riguarda proprio la gestione del passaggio: solo il 39%, infatti, si affida a manager esterni esperti, mentre in circa la metà dei casi viene gestito direttamente dall’imprenditore senza l’aiuto di persone esterne (31%) o al massimo con il supporto di una persona di fiducia ma non (non esperta).
Ma quando il successore è un figlio o un parente, come nella maggior parte delle imprese familiari, cosa accade? Difficilmente l’imprenditore in “pensione” lascia totalmente la guida dell’azienda al suo successore: secondo i manager, quattro imprenditori su dieci hanno continuato a entrare nelle scelte aziendali in modo importante, il 33% in modo saltuario. Forse per la scarsa fiducia nell’erede, dato che per due terzi dei manager intervistati la nuova figura non era adeguata al ruolo e solo il 24% ha giudicato il suo operato positivamente, il 36% così così e il 28% negativamente. E in questa fotografia la formazione ha un peso rilevante, ma solo il 15% degli imprenditori ha pianificato con netto anticipo il passaggio, indirizzando i figli / parenti verso percorsi in linea con la posizione che andranno a ricoprire. Se si considerano le esperienze lavorative, infatti, quasi due terzi dei manager (65%) bocciano il percorso dei figli: oltre tre quarti (77%) ha avuto una formazione solo all’interno dell’impresa di famiglia, con oltre la metà che ha ricoperto da subito ruoli apicali senza avere nessuna competenza per gestirla in modo corretto. Stesso discorso per il livello d’istruzione, non in linea per il 48% dei manager.
Eppure dall’analisi emerge una diretta correlazione tra formazione e performance aziendali, con una netta differenza tra chi non ha ricevuto una formazione adeguata (la maggior parte), e i più fortunati che invece hanno potuto svolgere un percorso corretto, come fare esperienze in altre aziende, ricoprire nell’impresa familiare diversi ruoli non apicali e ricevere un’istruzione adeguata. In una scala da uno a dieci, i figli senza un’esperienza idonea, secondo i manager, non raggiungono la sufficienza in merito al loro operato a livello generale (5), mentre il voto sale tra chi ha avuto una formazione più in linea con il ruolo (6,7); un valore che si avvicina a quello assegnato agli ex imprenditori (7,3). Anche per il grado di conoscenza dell’azienda ci sono differenze importanti: se gli ex imprenditori hanno ottenuto un voto medio di 8,4, i figli senza esperienza appropriata sono molto lontani (5,9), mentre sale tra gli eredi più preparati (7,4). A livello generale, il giudizio negativo emerge anche dalle performance aziendali: se si considerano i due anni successivi all’avvenuto passaggio del testimone, in media circa un terzo delle imprese ha registrato un peggioramento a livello generale. In particolare, il 34% delle aziende ha avuto un calo del fatturato e il 40% un peggioramento per quanto riguarda il rapporto e la gestione dei dipendenti. Ma anche in questo caso, le aziende guidate dai figli che hanno avuto esperienze in linea con il loro ruolo hanno registrato performance migliori: per il 27% l’impresa di famiglia è migliorata a livello generale (solo per il 20% è peggiorata), per il 33% è cresciuta, per il 27% è migliorato il rapporto e la gestione dei dipendenti, ma soprattutto ha fatto un salto in avanti per grado di innovazione (42%).
Anche chi sta vivendo un passaggio generazionale in questo momento ha delle perplessità: il 68% dei manager e dei dipendenti è infatti preoccupato in quanto manca una pianificazione e un percorso di crescita adeguato (38%) o perché il figlio non è all’altezza (30%). Per questo, ben l’86% del campione ritiene fondamentale l’aiuto di un professionista esperto per gestire al meglio il passaggio generazionale incerto. Quali qualità deve avere un professionista del passaggio generazionale? In assoluto al primo posto skills psicologiche, di coaching, tutoring e mentoring, indicate dal 65% del campione. Seguono esperienza specifica di passaggio generazionale (49%), conoscenza approfondita del business (39%) ed equidistanza (33%), ovvero non deve aver mai avuto rapporti precedenti con nessun membro della famiglia.