domenica 29 aprile 2018
Pochi soldi, sorveglianza continua e turni assegnati dall’algoritmo
Il nuovo «caporalato digitale». Faccia scura della Gig economy
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Una volta si chiamavano semplicemente fattorini. Portavano la pizza a domicilio il sabato sera. Adesso, sotto l’effetto dell’esplosione dell’economia digitale, sono diventati 'riders', vale a dire piloti. Sfrecciano in bicicletta o più raramente in motorino (la benzina costa) per le vie della città portandosi dietro il loro cubo colorato.

«Siamo anche delle pubblicità viventi» commenta con un pizzico di amarezza Maurilio, 32 anni e un dottorato di ricerca appena concluso, uno dei portavoce di Riders Union Bologna, il sindacato 'autoproclamato' che da mesi porta avanti una battaglia di dignità per i 300 ciclo-fattorini che lavorano all’ombra delle due torri. Ma anche per tutti gli altri. In Italia sono più di tremila, presenti soprattutto nelle grandi città del Nord. Parlare di numeri, in un settore così 'in movimento' è difficile ma di certo il fenomeno, esploso negli ultimi due anni con l’arrivo delle multinazionali del food delivery (Foodora, Just Eat, Deliveroo, Glovo Ubereat e Sgnam), è destinato a crescere.

Coldiretti stima che siano quasi 4,1 milioni gli italiani che ordinano regolarmente cibo a domicilio, altri 8,8 milioni lo fanno invece saltuariamente. Una comodità per i consumatori ma che ha un rovescio della medaglia. I sindacati parlano di una nuova forma di caporalato, questa volta digitale.

A Bologna la protesta è iniziata in inverno, quando a causa della neve i riders hanno scioperato e chiesto aiuto all’amministrazione comunale. Poi lo scorso 21 marzo un fattorino è stato travolto da un autobus: niente di grave ma la questione sicurezza è emersa in tutta la sua drammaticità. Assicurazioni praticamente assenti: in caso di incidente non si lavora e quindi non si guadagna. «Le società non affrontano proprio questo tema, alcune dicono che l’assicurazione c’è ma è minima — spiega Maurilio —. É presente di fatto per danni a terzi ma non garantisce i riders».

Altro tasto dolente la paga bassissima, si va un minimo di 4,4 euro a un massimo di 7, più una percentuale (in genere al di sotto dell’euro) per ogni consegna. Un lavoro a cottimo che incide appunto sulla sicurezza perché la velocità diventa fondamentale. Senza considerare che con il monitoraggio tramite il gps i fattorini sono 'sorvegliati' in continuazione. Il braccialetto di Amazon per loro è il cellulare.

C’è poi la questione dei turni assegnati con meccanismi poco trasparenti. Un sistema di 'ranking' assegnato in base a criteri sconosciuti. Ma rapidità e disponibilità sono senz’altro in cima alla classifica. In teoria ogni lavoratore dà la sua disponibilità in maniera spontanea, ma le aziende pretendono massima dedizione in cambio di zero garanzie in termini di ore lavorate. Tutti argomenti al centro domenica 15 aprile della prima assemblea nazionale dei riders che si è tenuta a Bologna.

Una sorta di prova generale delle manifestazioni in programma il 1 maggio a Bologna, Milano e Torino. Ci saranno probabilmente anche degli scioperi. Proprio da Torino, con una sentenza dell’11 aprile legata al 'licenziamento' di sei dipendenti di Foodora, la multinazionale tedesca, in seguito a delle proteste, è arrivato un duro colpo alle rivendicazioni sindacali dei riders.

Il Tribunale ha stabilito (ma si attendono ancora le motivazioni) che i lavoratori non avevano alcun diritto perché non sono dipendenti ma liberi di scegliere se lavorare o no. Per lo più si tratta di studenti universitari o di immigrati, ma in sella ci sono anche donne e 50enni che hanno perso il lavoro.

«Ho 36 anni e sono laureata — racconta Maria, anche lei all’assemblea di Bologna — guadagno 7 euro lordi all’ora e 80 centesimi a consegna. A fine mese arrivo a stento a mille euro, senza nessuna assicurazione in caso di incidente». Le richieste principali sono tre: salario minino, assicurazione e assegnazione turni trasparente. In difesa dei riders si stanno muovendo le amministrazioni comunali.

Il sindaco di Bologna Virgino Merola ha emanato una «Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano» e anche la giunta di Giuseppe Sala a Milano sta pensando di fare la stessa cosa. Sul piede di guerra i sindacati, anche loro convinti che si debba intervenire contro quella che il segretario della Uil Carmelo Barbagallo chiama «caporalato 4.0».

La segretaria della Cisl Anna Maria Furlan chiede una «seria riflessione sulla condizione di migliaia di lavoratori che al di là dell’inquadramento giruidico prestano la loro attività in condizioni precarie dal punto di vista retributivo e di condizione sociale ». C’è una lacuna legislativa che va colmata al più presto.

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