sabato 5 ottobre 2024
In due anni spariti 145mila tra colf, badanti e baby-sitter. Pesa anche il carovita per chi ha bisogno di aiuto ma non può più permetterselo. Zini (Assindatcolf): "Lo stato aiuti le famiglie"
Una badante spinge un'anziana in sedia a rotelle

Una badante spinge un'anziana in sedia a rotelle - Ansa

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La denatalità, la diffusione su larga scala dello smartworking e la perdita del potere spingono le famiglie a tagliare su badanti, colf e baby sitter. Negli ultimi due anni si è assistito a un calo particolarmente vistoso di questa tipologia di lavoratori: secondo l’Istat sono 145mila in meno nel 2023 rispetto al 2021, con una contrazione del 9,5%, a fronte di un mercato che ha invece raggiunto nuovi record di occupazione. Anche la domanda mostra lo stesso andamento negativo: se nel 2011 erano 2 milioni e 600mila le famiglie che assumevano collaboratori domestici, nel 2022 sono scese a 1,9 milioni del 2022, appena il 7,4% del totale.

Calo delle nascite e lavoro sempre più agile le probabili cause, in particolare per quanto riguarda servizi per la prima infanzia e la cura della casa. Discorso diverso quando si parla di badanti: in questo caso a pesare è la difficoltà a sostenere i costi per l’assistenza di parenti non autosufficienti. Sono questi gli elementi dell’analisi contenuta nel 4° Paper del Rapporto 2024 “Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico”, presentato da Assindatcolf (Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico), in collaborazione con Fondazione Studi Consulenti del Lavoro a Roma.

L’aspetto che più degli altri elementi riassume le difficoltà del settore è la scelta di molte donne di rinunciare al lavoro a causa dell’incompatibilità con gli impegni familiari di cura. Tra il 2018 e il 2023, il numero di donne over 55 che hanno preso questa decisione è salito del 34,7%. Secondo l’indagine Family (Net) Work svolta a luglio su un campione di 2.015 famiglie aderenti ad Assindatcolf e Webcolf, i nuclei che si avvalgono dei servizi forniti da una badante affrontano ogni mese un costo superiore al 50% del reddito mensile. Cifre ormai insostenibili non solo per le famiglie a basso reddito, ma anche per il ceto medio (e giudicato tale dal 55% degli intervistati). Non va sottovalutata la difficoltà nel reperire personale per il tipo di lavoro da svolgere (68,7%).

Emblematica è la difficoltà di ricambio generazionale nel settore con il progressivo invecchiamento delle badanti: nel 2014 solo il 12% aveva più di 60 anni, oggi invece il 29,1%. Resta infine irrisolto il nodo del sommerso, l’elevata quota di irregolarità che ancora caratterizza il comparto è stimata dall’Istat al 54% nel 2023. Il lavoro domestico rappresenta il 38,3% dell’occupazione irregolare dipendente in Italia e genera un costo per la collettività pari a quasi 2,5 miliardi di euro all’anno tra mancato gettito contributivo ed evasione dell’Irpef.

«La fotografia che ci restituisce questo studio – dichiara il presidente di Assindatcolf, Andrea Zini – è senza dubbio allarmante. Quella di un Paese in cui le donne sono ancora costrette a rinunciare al lavoro per occuparsi della famiglia in particolar modo per motivi economici. Un circolo vizioso. Serve una riforma generale del sistema, a partire dalla fiscalità: lo Stato deve supportare le famiglie. Per questo chiediamo alla politica di mettere al centro della propria agenda, alla voce welfare familiare, deducibilità fiscale o credito d’imposta del costo del lavoro domestico».

Di numeri insufficienti nel decreto flussi e della necessità di semplificare le procedure di regolarizzazione parla l’altra grande associazione di famiglie datrici di lavoro, Domina: in occasione del click day 2024, sono pervenute oltre 110 mila domande per il settore del lavoro domestico, a fronte di 9.500 ingressi autorizzati. Storicamente, il lavoro domestico è caratterizzato da una forte presenza di immigrati che sono circa il 70% del totale. Per Domina, che ha accolto positivamente alcune modifiche al decreto flussi nell’ottica di una semplificazione, sono necessari investimenti nella formazione nei Paesi d’origine e un aumento delle extra-quote per lavoratori formati, ma anche il riconoscimento dei corsi di formazione professionale regionali per l’ottenimento del permesso di soggiorno per motivi di studio e l’introduzione di un sistema di regolarizzazione permanente per i lavoratori con un rapporto in essere presso una famiglia.

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