«Il dato più preoccupante? L’allargamento del divario tra Nord e Sud, simboleggiato dalla ripresa delle emigrazioni dal Mezzogiorno soprattutto di giovani qualificati. Un divario purtroppo complessivo, con un forte aumento di nuova povertà ed esclusione sociale. Il Sud d’Italia è di gran lunga una delle aree europee in cui il disagio sociale è più forte». Non ha dubbi l’economista e statistico Enrico Giovannini, fondatore dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo sostenibile (ASviS) e padre putativo del Bes quando presiedeva l’Istat prima di diventare ministro del Lavoro e delle Politiche sociali nel governo Letta.
Professore, ma quanto pesa per il Paese questo ulteriore peggioramento del Mezzogiorno?
Che un pezzo così importante del Paese sia sempre più indietro rispetto al resto d’Italia e d’Europa è un elemento di grave debolezza al di là delle classifiche e dei numeri. C’è infatti anche una valenza po-litica, sociale e morale a pesare. Oggi ci sono Paesi come Romania, Bulgaria e Polonia che si stanno rapidamente mettendo alla pari, stanno facendo catching up. Invece dal rapporto Bes risulta che al Sud c’è una impennata dell’abusivismo edilizio. Si continuano a fare gli errori di una volta. Per non dire dell’evasione fiscale, che non riguarda soltanto il Mezzogiorno ma tutto il Paese.
Un annoso malcostume che il rapporto sul Bes ha confermato ancora una volta...
Ma non si tratta di malcostume. Non è soltanto un problema di eguaglianza e di giustizia, ma macroeconomico. Con un effetto negativo su tutto il Paese. È un dato di fatto oggettivo che ci sia una relazione negativa tra livello di evasione e crescita della produttività. E qui la crisi non c’entra, è colpa di quelle imprese che remano contro l’Italia.
In che senso, professore?
Il nostro mondo imprenditoriale è nella migliore delle ipotesi dualistico. È evidente che una parte del sistema produttivo ha risposto alla crisi investendo, cambiando, andando sui mercati internazionali, aumentando la produttività, il fatturato e persino l’occupazione. Un altro pezzo invece ha resistito alla crisi con delle strategie difensive, una delle quali però illegale: l’evasione fiscale. Che si aggira intorno ai 110 miliardi di euro.
Una bella fetta di complessiva ricchezza del Paese...
Una voragine. Prendiamo come esempio un provvedimento come il jobs act. È chiaro che un pezzo del sistema produttivo ha deciso di sfruttare l’occasione di forme contrattuali più convenienti per le imprese e grandi sconti retributivi, mentre un’altra parte ha deciso di andare sui voucher. Di fronte ai cambiamenti c’è chi innova e chi si chiude. Il fatto è che non c’è sufficiente contrasto all’evasione fiscale.
Qual è invece l’aspetto più positivo emerso dal rapporto?
Riguarda il Bes stesso, il suo valore di sintesi. È importante che l’Istat abbia confermato l’im- portanza di indicatori così significativi per fotografare il Paese attraverso la percezione qualitativa dei cittadini. Peccato però che nel rapporto ci siano troppi mancati aggiornamenti. Spiace vedere ripetuta su tanti fenomeni e dimensioni del benessere la dicitura 'dato non esistente' . È necessario migliorare la tempestività di alcuni indicatori. Guardando ancora di più all’Agenda 2030.
Si riferisce agli obiettivi dell’Onu?
Sì, ai 17 goal e alle relative sottodimensioni. Comunque stavolta l’Istat ha pubblicato anche un primo set di indicatori sul Sustainable Development Goals, sebbene in ritardo visto che la legge di bilancio è già stata approvata. Un passo in avanti anche se si tratta soltanto di 66 indicatori su 240 selezinati a livello internazionale. Chiediamo al-l’Istat uno sforzo per investire in questa direzione per completare l’immagine dell’Italia.
Tra gli aspetti più in chiaroscuro del rapporto Bes c’è ancora una volta il nodo ambiente.
Il problema è che l’Italia non ha progredito più come negli anni precedenti. Per le energie rinnovabili nel 2015 sono diminuiti gli investimenti e, anche a causa del basso prezzo del petrolio, è rallentata la transizione alle fonti alternative a quelle fossili. Un brutto segnale. E pensare che ogni anno nel nostro Paese ci sono 60mila morti a causa di malattie legate all’inquinamento.
Non è molto confortante nemmeno il dato sulla partecipazione politica. Dal Bes emerge un aumentato distacco dei cittadini. Non ci si impegna abbastanza nel bene comune. L’unica buona notizia è che comunque resta ancora alta la vivacità della società civile nelle varie forme di quello che si chiama capitale sociale. Qui gli italiani fanno ben sperare.