sabato 12 settembre 2015
Gli stranieri in Italia sono già un pezzo cruciale dell'economia e dei contributi pensionistici in un Paese senza leva demografica. Hanno aperto ormai mezzo milione di imprese (anche se molte piccolissime), versano l'8,5% dell'Irpef (con punte di quasi il 12% a Milano e del 10% a Roma).
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Valgono già quasi il 9% del Pil italiano (esattamente l'8,8%), hanno aperto ormai mezzo milione di imprese (anche se molte piccolissime), versano l'8,5% dell'Irpef (con punte di quasi il 12% a Milano e del 10% a Roma). Gli stranieri in Italia sono già un pezzo cruciale dell'economia e dei contributi pensionistici in un Paese senza leva demografica, ma anche l'attuale flusso di migranti viene giudicato soprattutto come un'opportunità da imprenditori che conoscono bene la questione, avendo visto diversi lavoratori non italiani all'opera nelle loro aziende."Quel che conta è la voglia di lavorare e la professionalità: sono i fattori che si valutano quando assumi qualcuno, non il colore pelle e il Paese d'origine - spiega Gregorio Fogliani, numero uno di Qui!Group, la più grande società italiana di buoni pasto e sistemi di fidelizzazione, ma 'nato' nella ristorazione -. Dall'esperienza che ho coi lavoratori stranieri posso dire che l'immigrazione è senz'altro un'opportunità, non un problema".Lui è partito da Genova con uno dei locali più noti della città ed è ancora presente nel retail con ristoranti e bar, dove impiega circa il 10% dei lavoratori del gruppo, che in totale quest'anno conta di fatturare 650 milioni con 1.200 addetti. "Quasi tutti i cuochi e gli addetti alle cucine sono stranieri: sarà banale, ma alla fine conta la persona, non se è un migrante o un italiano. Ma le risorse vanno valorizzate: a chi arriva serve accoglienza e formazione ed è importante che ci sia percorso di inserimento lavorativo", conclude Fogliani.Dal Trevigiano, terra che ha anche prodotto toni molto ostili nei confronti degli immigrati, vengono considerazioni simili. "Quello che servirebbe sarebbe un tirocinio in azienda per poter selezionare i più adatti e coloro che hanno maggiore desiderio di emergere", aggiunge Desiderio Bisol, uno dei due proprietari dell'omonima casa vinicola del Prosecco, che da tempo osserva diversi lavoratori stranieri tra vigne e cantina. "L'integrazione è sempre un valore, basta vedere cosa succede in Canada e Usa", mercati ben conosciuti da un gruppo da circa 18 milioni di fatturato la cui metà l'anno scorso è stata acquisita dai Lunelli, proprietari delle cantine Ferrari. "L'importante però è che ci siano regole chiare, che ancora mi sembrano invece mancare: quattro o cinque norme ben definite che permettano agli stranieri di dare il meglio. Perché chi trova occupazione lavorando bene dà il buon esempio, anche agli italiani, chi invece lavora male ed entra lo stesso nel circuito produttivo dà sempre un cattivo esempio", conclude Bisol.Ma anche senza regole i dati sono chiari. Secondo un dossier Caritas-Migrantes gli stranieri, oltre a produrre 123 miliardi l'anno di Pil, sono disposti per più di un terzo (il 36%) a svolgere lavori non qualificati contro il 7,8% degli italiani.Un'elaborazione della Camera di commercio di Milano sul registro delle imprese indica la presenza di 488mila imprese di non italiani (il 9,5% del totale, in continua crescita), mentre unostudio della Fondazione Leone Moressa indica in 2,3 milioni i contribuenti senza cittadinanza italiana al nostro sistema fiscale, per un totale di redditi dichiarati di oltre 44 miliardi e un contributo Irpef di quasi sette miliardi l'anno.
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