lunedì 15 giugno 2015
​In arrivo il decreto. Obiettivo ridurre il numero di sale e introdurre un rapporto fra numero massimo e abitanti adulti. Sul fronte del fisco la frode resta reato, no alla norma "salva-Berlusconi".
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La lunga attesa sta per finire. Venerdì Matteo Renzi ha annunciato che la settimana entrante sarà dedicata ai decreti della delega fiscale. Si avvia così a chiusura quella "sospensione" cominciata a gennaio, quando il governo fece una clamorosa marcia indietro sui testi di riforma del Fisco approvati dal Consiglio dei ministri del 24 dicembre 2014. Ora sono in rampa di lancio almeno 3-4 decreti, ma che potrebbero aumentare nei prossimi giorni. C’è tempo fino a giovedì-venerdì, quando Renzi convocherà il Cdm (in un primo tempo si era parlato di martedì 16, ma è troppo presto). Al momento sicuri sono quelli sulle sanzioni, sui giochi (con un’inedita "alleanza" fra governo e M5S); ma potrebbero spuntare anche quelli sulla riscossione e sull’evasione ed erosione fiscale, col ritorno del tante volte annunciato fondo taglia-tasse.Partiamo dalle certezze. La prima riguarda proprio l’articolo del testo che provocò quel terremoto politico, con proteste da vari partiti. L’incidente fu innescato dalla cosiddetta "norma salva-Berlusconi", la depenalizzazione per le frodi fiscali inferiori al 3% del reddito imponibile: ebbene, quella norma è saltata, almeno per le evasioni fatte consapevolmente usando altre fatture o altri meccanismo fraudolenti, che continueranno a essere punite penalmente (con pene fino ai 6 anni di carcere). Potrebbe restare solo per i comportamenti non fraudolenti, ma l’intenzione del ministero del Tesoro è di togliere ogni soglia. Dovrebbe restare invece la non punibilità dei mancati versamenti Iva, per i quali viene concessa un’attenuante legata alla crisi (in diversi casi il soggetto Iva presenta regolarmente la dichiarazione, ma poi non riesce a versare per problemi di liquidità).L’altro grosso capitolo è relativo ai giochi, dossier curato dal sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta. Qui, da gennaio in poi si è consumata una battaglia sotterranea fra il Tesoro, la lobby dei concessionari e l’ampio mondo dei movimenti che si oppongono al dilagare dell’azzardo. Il punto centrale resta quello annunciato già mesi fa: il governo darà un taglio di 100mila unità (ma - attenzione - potrebbe ridursi a 80mila) alle quasi 400mila slot-machine oggi attive sul territorio nazionale. I criteri saranno stringenti: una macchinetta ogni 7 metri quadri e non più di 6 apparecchi in ogni locale commerciale, quali che siano le sue dimensioni e da collocare in spazi separati (con accesso consentito solo ai maggiorenni).Sul piano del gettito, al Tesoro si sostiene che si punta solo a "stabilizzare" quello attuale, che è attorno agli 8 miliardi annui (circa 1/10 degli 80 miliardi di giocate totali, dei quali non più del 70-75% è destinato alle vincite), puntando semmai sull’emersione di base imponibile finora nascosta, com’è avvenuto per le 2mila sale-giochi venute a galla con la sanatoria dell’ultima Legge di stabilità. Sarà comunque cambiato il sistema di tassazione: oggi è tarato sulle giocate (quindi tiene conto anche del guadagno dell’operatore), in futuro sarà fatto sul margine finale. Ma dove si sta consumando il vero scontro è sull’opposizione che si vuol fare al far west normativo, cioè al fatto che ogni Regione e Comune deliberi per conto proprio in questo settore. E qui, accogliendo una proposta fatta dai grillini durante un dibattito parlamentare di un mese fa circa, il governo punta a fissare dei principi-base validi in tutta Italia, a partire dallo stabilire un numero massimo di sale giochi rapportato al numero degli abitanti adulti (si parla di una slot ogni 200 abitanti, ma la decisione finale ancora non è presa). Il tema resta "caldo", anche per il rischio di collegamenti del settore con la criminalità, e la riprova è la cautela con cui il Tesoro si sta muovendo: Baretta ha già avuto un incontro con Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia. Prima del varo, poi, ci sarà un confronto con gli enti locali (a loro resterebbe la competenza sugli orari) e, probabilmente, uno anche con il presidente dell’Autorità anti-corruzione, Raffaele Cantone.
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