lunedì 17 febbraio 2014
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Venerdì 14 era stata la Fiom – o meglio una sua componente – a tentare lo sfondamento, in un "attivo" di delegati Cgil a Milano, per protestare contro l’accordo sulla rappresentanza, firmato dalla stessa confederazione e contestato dalle tute blu. Sabato all’alba, invece, sono stati i lavoratori a sfondare i picchetti, questa volta organizzati dalla Fiom a Marghera. Niente sciopero, gli operai hanno voluto lavorare: alla Fincantieri è arrivata una grande commessa e, per portarla a termine, nelle scorse settimane l’azienda ha proposto di cambiare i turni operando 6 ore per 6 giorni, sabato compreso quindi. Dopo la trattativa, Fim-Cisl e Uilm hanno firmato l’intesa, la Fiom si è opposta. E continua a opporsi, nonostante un referendum tra i dipendenti abbia approvato l’accordo.I due episodi sono emblematici dell’involuzione, all’apparenza inarrestabile, in cui sta precipitando il sindacato guidato da Maurizio Landini, sempre più corteggiato dai talk show, sempre meno seguito dai lavoratori e ormai isolato all’interno stesso della sua confederazione. Si fatica a ricordare gli ultimi contratti firmati da quella che fu la gloriosa Federazione impiegati e operai metallurgici: alle trattative serrate, ai confronti sindacali pure aspri, si è sostituito nella Fiom una sorta di autismo sociale, l’incapacità di interpretare la realtà per le sfide che presenta, che è poi l’incapacità di rispondere ai bisogni profondi dei lavoratori, della propria gente, al di fuori delle burocrazie sindacali. Quando, come nel caso della Fiat prima e della Fincantieri ora, è in gioco la sopravvivenza del posto di lavoro, quando la crisi chiede risposte rapide per evitare la cancellazione di intere realtà produttive, bloccare tutto contro gli straordinari o i sabati lavorativi, è un lusso che gli operai faticano persino a comprendere. Il pesante calo di iscritti alla Fiat, dove la Fiom è diventato il quinto sindacato, lo testimonia.L’involuzione della Fiom è però il naturale epilogo del modello di sindacato conflittuale, quando non meramente antagonista, del secolo scorso che non regge più in un mercato globale, in cui occorre sviluppare semmai nuove forme partecipative tra lavoratori e impresa, relazioni industriali cooperative. Il clamoroso sfondamento di ieri, ci dice che per gli operai il Novecento, con le sue rigidità e i suoi picchetti, è ormai passato remoto.
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