Entra nel vivo la partita per Tim, dopo l’arrivo nel capitale col 5% di Cassa Depositi e Prestiti. Pur col titolo piatto in Borsa, in vista dell’assemblea del 24 aprile prima Glass Lewis, poi ieri Iss e Frontis Governance, tre 'proxy' (società che consigliano ai gestori di fondi come votare) si sono espressi a favore della sostituzione dei consiglieri dimissionari di parte Vivendi, il gruppo francese di Vincent Bolloré che ha circa il 24% del capitale, con consiglieri espressi dal fondo speculativo Elliott di Paul Singer. E ieri i gestori italiani, riuniti in Assogestioni, hanno deciso di non presentare una propria lista di consiglieri indipendenti, consentendo quindi a Elliott di muoversi più liberamente alla conta dei soci. Strada spianata per Singer? Nient’affatto: ieri sera il consiglio d’amministrazione di Tim a maggioranza (cioè col voto contrario dei consiglieri Assogestioni) ha avviato un’azione legale contro il proprio collegio sindacale che aveva chiesto e otte- nuto di integrare l’ordine del giorno dell’assemblea con la nomina dei consiglieri targati Elliott, decisione giudicata «errata e particolarmente grave».
Ma proprio ieri il fondo speculativo ha scoccato due frecce in vista della riunione dei soci: in primo luogo ha comunicato di essere salito dal 5% già noto all’8,8% del capitale ordinario di Tim che aggiunto alle opzioni put e call in suo possesso su un altro 4,93% portano quindi la partecipazione potenziale complessiva al 13,73%. Poi Elliott in un documento rivolto agli investitori e al mercato ha voluto esporre il suo piano per il gruppo tlc. «Noi non stiamo cercando – ha sostenuto – di ottenere il controllo del consiglio d’amministrazione di Tim, ma vogliamo liberarlo dal regno di Vivendi che ha portato alla distruzione del valore». Anche per questo, curiosamente, gli uomini di Singer dicono di sostenere l’attuale amministratore delegato Amos Genish, che tuttavia è stato scelto e nominato da Bolloré. Per Elliott «con un consiglio indipendente il prezzo delle azioni di Tim raddoppierà nel giro di due anni». Inoltre «la separazione della rete di Tim consentirebbe di dimezzare il debito da 25 a 12 miliardi di euro, permettendo anche di distribuire un dividendo stabile agli azionisti ordinari», pari nel 2019 1,2 miliardi di euro di cedola. E naturalmente l’unificazione della rete Telecom con quella di Open Fiber «puo’ portare grande valore ai soci».
Insomma, da un lato «Tim ha un posizionamento unico sul mercato italiano, se ben gestita potrebbe produrre una redditività consistente per gli azionisti: tuttavia il cda targato Vivendi ha creato gravi problemi alla governance, e l’assenza di una chiara strategia penalizza l’azione». Quindi la soluzione passa per «un board composto di amministratori realmente indipendenti, che avrebbe l’opportunità di migliorare la gestione di Tim e farsi pilastro della futura strategia di creazione di valore per tutti gli azionisti». Ieri sera, infine, Elliott ha presentato la sua lista per il consiglio che oltre ai 6 nomi già noti, guidati da Fulvio Conti, vede presenti anche Alfredo Altavilla, Paola Bonomo, Lucia Morselli e Marina Brogi.