venerdì 24 gennaio 2014
Solo il 23% delle imprese attua pratiche organizzative per gestire le differenze. Lo evidenzia una survey del Diversity Management Lab di SDA Bocconi che mostra come alcune delle categorie della popolazione aziendale siano svantaggiate per assunzioni e promozioni.
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Le aziende italiane non brillano per attenzione alla gestione delle diversità. Secondo i 750 rispondenti a una survey condotta dal Diversity Management Lab di SDA Bocconi, al di là dei proclami, in molti casi continuano a mancare ruoli e pratiche specifiche per il diversity management e, all’interno della popolazione organizzativa, persone meno giovani, stranieri, disabili e omosessuali risultano svantaggiati nei processi di assunzione e di promozione.L’organizzazione. Al campione è stato chiesto, innanzitutto, come ritengono si comportino le imprese sul diversity management a livello organizzativo: solo il 23% dichiara che nella propria azienda è presente un sistema di pratiche per la gestione delle diversità, a fronte di un 30% che ne sottolinea la mancanza. “A questo proposito”, spiega Stefano Basaglia, che ha curato la ricerca per il Diversity Management Lab insieme a Zenia Simonella, “è da sottolineare anche un altro dato: il fatto che il 46% non sappia rispondere, a evidenza che, forse, c’è anche un problema di comunicazione interna circa le iniziative aziendali su questi temi”.La probabilità di assunzione. I ricercatori del Lab sono andati poi a verificare le opinioni circa l’equità dei percorsi di assunzione e di avanzamento di carriera. E qui, risulta evidente la discriminazione percepita nei confronti di alcune caratteristiche sociali. Tra gli uomini, la probabilità di essere assunti è ritenuta maggiore se si è giovani (un valore medio di 6,06 in una scala da 1 a 7), mentre scende se si è stranieri (5,36), omosessuali (5,35), disabili (4,73) o anziani (3,53). Lo stesso vale per le donne, che, peraltro, raggiungono valori in genere più bassi degli uomini, a parità di caratteristiche. Se la probabilità per le donne è 5,56, donne omosessuali o straniere oscillano intorno a 5,28, mentre per le donne anziane la probabilità crolla a 3,41.La probabilità di promozione. Riguardo alla possibilità di avanzamenti di carriera, a parità di competenze, l’opinione dei rispondenti non cambia: uomini e donne anziani e disabili hanno meno chance di ottenere una promozione. Nel caso delle donne, inoltre, anche la presenza di figli risulta svantaggiosa. “Tanto per i processi di assunzione che per quelli di avanzamento di carriera emerge come vi siano determinate categorie sociali penalizzate e stigmatizzate all’interno della popolazione organizzativa”, sottolinea Stefano Basaglia. “Non è vero quindi che le aziende utilizzino il merito per valorizzare il talento; i nostri dati dimostrano che il talento viene attribuito pregiudizialmente a certe categorie e caratteristiche sociali”, aggiunge Simona Cuomo, coordinatrice del Diversity Management Lab di SDA Bocconi. “Le evidenze mostrano inoltre come, a livello organizzativo aziendale, manchino ancora ruoli, strutture e processi dedicati alla gestione delle diversità e come il management appaia poco impegnato su questi temi”.Il work-life balance. Un altro aspetto sondato dalla survey riguarda la gestione del bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata, tema sempre più importante nella gestione della popolazione organizzativa. Ciò che risulta è che le pratiche attuate dalle imprese su questo versante sono ancora ferme a una visione tradizionale. Le due pratiche considerate più presenti sono il part-time (4,62 su 7) e la flessibilità sugli orari di ingresso e uscita (4,69). Telelavoro (2,72), job-sharing (2,38), forme di flessibilità personalizzate (3,06) non paiono ancora far parte del linguaggio aziendale.“Il lavoro agile, ossia l’insieme di queste pratiche di flessibilità lavorativa, è un potente strumento di gestione della nuova popolazione organizzativa delle aziende”, conclude Simona Cuomo. “Purché però si superino gli stereotipi che caratterizzano ancora oggi il lavoro, ossia un tempo e un luogo fisso per il suo svolgimento. Le imprese italiane, da questo punto di vista, sono ancora molto indietro”.
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