mercoledì 1 luglio 2020
In crescita del 4% rispetto all'anno precedente, per un tasso di copertura del 31,4% sul totale della forza lavoro
Mario Padula, presidente della Covip

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Alla fine del 2019, i fondi pensione in Italia sono 380: 33 fondi negoziali, 41 fondi aperti, 70 piani individuali pensionistici (Pip), 235 fondi preesistenti, oltre a Fondinps in via di superamento. Emerge dalla Relazione annuale Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) sull'attività svolta nel 2019 diffusa dal presidente Mario Padula. Il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione. Venti anni fa, nel 1999, le forme operanti erano 739, quasi il doppio. Alla fine del 2019, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di circa 8,3 milioni, in crescita del 4% rispetto all'anno precedente, per un tasso di copertura del 31,4% sul totale delle forze di lavoro (in pratica uno su tre ha una forma previdenziale integrativa).

Gli iscritti ai Pip ''nuovi'' si attestano a 3,3 milioni, 3,1 milioni quelli ai fondi negoziali, oltre 1,5 milioni quelli ai fondi aperti e circa 600mila quelli ai fondi preesistenti. Gli uomini sono il 61,9% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73,4% nei fondi negoziali), nel solco di quel gender gap che si è già manifestato negli anni scorsi. Si conferma anche un gap generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all'età di pensionamento: il 52,9% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 29,5% ha almeno 55 anni. Quanto all'area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57%). A fine 2019, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 185 miliardi di euro, in aumento del 10,7% rispetto all’anno precedente: un ammontare pari al 10,4% del Pil e al 4,2% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. I contributi incassati nell’anno sono pari a 16,2 miliardi di euro: 5,3 miliardi ai fondi negoziali (+5,3%), 2,2 miliardi ai fondi aperti (+8,2%), 4,5 miliardi ai Pip nuovi (+4,9%) e 4,2 miliardi ai fondi preesistenti. Alla fine del 2018 (ultimo dato disponibile ndr), le attività complessivamente detenute dalle casse professionali ammontano, a valori di mercato, a 87 miliardi di euro (+1,9%).

Dal 2011 al 2018 tali attività sono cresciute complessivamente da 55,7 a 87 miliardi di euro, con un incremento del 56,2%. A fronte di una sostenuta dinamica di crescita nell’aggregato, permangono differenze, anche ampie, nelle attività delle casse: circa il 73% dell’attivo è di pertinenza dei cinque enti di dimensioni maggiori, i primi tre raggruppano circa il 54% del totale. Al 2018 solo in due casse le prestazioni superano i contributi; in tutti gli altri casi la differenza è positiva, con un’ampiezza variabile tra i singoli enti. Tenendo conto anche delle componenti obbligazionaria e azionaria sottostanti gli Oicvm detenuti, la quota più rilevante delle attività è costituita da titoli di debito, pari a 32,6 miliardi di euro (corrispondenti al 37,5% del totale).

Occorre «recuperare il ritardo normativo delle casse professionali: continua ad ampliarsi, infatti, anche per effetto dell’incidenza della disciplina di origine comunitaria, il divario tra la regolamentazione normativa dei fondi pensione e quella relativa alle casse professionali, che restano gli unici investitori istituzionali affrancati da una regolamentazione unitaria in materia di investimenti». È la raccomandazione espressa dal presidente della Covip. «Occorre portare rapidamente a completamento l’iter di adozione del regolamento interministeriale sugli investimenti delle casse, atteso dal 2011, che fornirebbe una cornice normativa, da un lato, oggettivamente necessaria per favorire il processo volto a rafforzare le procedure e gli assetti organizzativi professionali e tecnici delle casse e ad assicurare un efficace monitoraggio dei rischi assunti nella gestione; dall’altro, sufficientemente flessibile da consentire ai singoli enti l’adozione di scelte gestionali autonome e responsabili in ragione delle rispettive specificità», ha spiegato Padula.

«L’adozione del regolamento contribuirebbe poi anche al miglioramento dell’assetto della vigilanza; un contesto adeguatamente disciplinato e regolato faciliterebbe infatti l’azione di controllo cui la Covip è chiamata, consentendo alla stessa di inserirsi in un alveo caratterizzato da regole chiare ed omogenee», ha aggiunto, invitando poi a «ripensare, in un’ottica di rinnovata progettualità per il Paese, al ruolo che non solo gli investitori istituzionali ma anche il risparmio privato in generale possono svolgere per la crescita dell’economia e lo sviluppo dei mercati finanziari, affrontando con coraggio i problemi che un’economia, come quella italiana, pone anche in relazione al suo tessuto industriale e al suo mercato dei capitali, che non andrebbero riguardati come parametri, ma piuttosto come variabili, in un modello più moderno che sappia cogliere le sfide che nell’ultimo ventennio si sono presentate e quelle che nel prossimo futuro si presenteranno. Bisogna fare tutto questo se si vuole costruire una società in cui al patto tra generazioni sia restituita la centralità che merita. Solo così, anche in tempi come questi, si potrà guardare al futuro con speranza».

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