Sentenza della Corte di giustizia europea - Archivio
Il made in Italy non fa disparità tra lavoratori. Italiano o straniero che sia, chiunque lavora in Italia ha diritto alle stesse tutele sociali. A stabilirlo è la Corte di giustizia europea nella sentenza alla causa C-350/2020 per due prestazioni specifiche: il bonus bebè e l’assegno di maternità dei Comuni. Il principio, tuttavia, vale per tutte le prestazioni di «sicurezza sociale», cioè malattia, familiari, infortuni, pensioni, disoccupazione eccetera. Perché l’Italia non si è avvalsa della facoltà di limitare la parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri come previsto dalla direttiva n. 2011/98.
La vicenda è sorta perché alcuni cittadini stranieri, legalmente soggiornanti in Italia e titolari di un permesso unico di lavoro, ottenuto il diniego dall’Inps all’assegno di natalità perché non in possesso dello status di soggiornanti di lungo periodo, si sono rivolti al tribunale. Il giudice ha accolto le loro richieste, sulla base del «principio della parità di trattamento» dalla direttiva Ue 2011/98. La vicenda è proseguita poi in Corte di appello, quindi in Cassazione e in Consulta. Per gli stessi aspetti, la Cassazione si è rivolta alla Corte costituzionale anche per la questione di legittimità relativamente all’assegno di maternità dei Comuni. A fronte di tali richieste, la Consulta si è rivolta alla Corte Ue chiedendo di precisare la portata del diritto di accesso alla prestazioni sociali riconosciuto dalla Carta dei diritti fondamentali Ue (art. 34).
La Corte di giustizia europea dà ragione ai lavoratori stranieri. Per quanto riguarda l’assegno di natalità, la Corte Ue rileva che viene concesso automaticamente ai nuclei familiari sulla base di criteri fissati per legge, prescindendo da ogni valutazione e discrezionalità delle esigenze personali del richiedente. Per la Corte è una prestazione destinata ad alleviare gli oneri del mantenimento di un figlio appena nato o adottato, che costituisce, cioè, una «prestazione familiare». Idem per l’assegno di maternità, concesso o negato, spiega la Corte, tenendo conto, oltre che dell’assenza di un’indennità connessa a rapporti di lavoro, delle risorse del nucleo della madre sulla base di un criterio predefinito (l’Isee), senza tener conto di circostanze personali. In conclusione, la Corte ritiene che sia l’assegno natalità e sia l’assegno di maternità rientrano nell’ambito della sicurezza sociale che è tutelata dalla piena parità di trattamento tra cittadini.
La Corte di giustizia europea stabilisce un criterio generale: chiunque lavora in Italia ha diritto agli stessi diritti sociali. Non importa se italiano o straniero (purché regolarmente presente in Italia, cioè titolare di un permesso di soggiorno che consente di lavorare): tutti hanno diritto di accesso alle prestazioni di «sicurezza sociale» e ai «servizi sociali» che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro (per esempio, l’indennità di disoccupazione). A riconoscere questa parità è la direttiva n. 883/2004, la quale aveva concesso agli Stati membri la possibilità di limitarne il raggio d’azione. Così l’Italia poteva escludere (ma non l’ha fatto) la piena parità di trattamento, che di norma la direttiva riconosce indistintamente a tutti i lavoratori, limitando il diritto a quelli che svolgono o che hanno svolto attività lavorativa per almeno sei mesi e sono disoccupati.