Le parti sociali si sbrighino a trovare un accordo o interveniamo noi. Matteo Renzi alza i toni sui nuovi contratti, proprio alla vigilia della presentazione (domani) della piattaforma unitaria di Cgil, Cisl e Uil. Sindacati che, ha sferzato il capo del governo, «sono una grande istituzione democratica, ce ne sono tantissimi, forse troppi». Il capo del governo non ci sta ad attendere i tempi lunghi e gli esiti incerti delle trattative interconfederali e lancia un messaggio chiaro: «È tempo di mettere fine ai continui rinvii. O fanno gli accordi o ci pensiamo noi», afferma dopo avere tra l’altro definito il Jobs act come l’«operazione più di sinistra di sempre». In ballo ci sono le nuove regole del gioco per contratti, salari e rappresentanza, con l’esigenza di rendere più agili le decisioni e recuperare quel gap di produttività che pesa sul sistema italiano, spostando sui luoghi di lavoro parte della contrattazione. Dopo l’accordo raggiunto tra le tre organizzazioni del lavoro servirà quello con le aziende, a partire da Confindustria dove si sta per aprire la corsa alla successione di Giorgio Squinzi, sulla quale peserà proprio il capitolo contratti. Difficile immaginare uno sbocco immediato per una trattativa che già parte da posizioni lontane (il documento sindacale sarebbe stato accolto con freddezza) e che forse dovrà attendere per l’esito finale l’insediamento del nuovo capo degli industriali, prevista tra aprile e maggio. Del resto non è la prima volta che Renzi minaccia un intervento per via legislativa su materie finora affidate alle parti. Nella legge delega sul lavoro era prevista infatti l’introduzione (poi stoppata in attesa che le parti si accordassero) del salario minimo legale. Un’invasione di campo che, secondo i sindacati, rischia di marginalizzare i contratti e lo stesso ruolo delle parti, e di spingere verso il basso e non verso l’alto i salari. È soprattutto per far fronte a questi rischi che nelle ultime settimane le tre confederazioni hanno superato le divergenze e trovato l’accordo su una piattaforma che prevede il rafforzamento dei contratti di secondo livello per rafforzare la produttività a livello aziendale, territoriale o di distretto. Ma che lascia ai contratti nazionali il compito di fissare i minimi salariali, che possono poi essere resi
erga omnes da un successivo intervento legislativo. Un nuovo modello dettato dal governo forse non è l’ideale nemmeno per Confindustria. Nel settembre scorso Squinzi provò ad avviare un tavolo tecnico con i sindacati, ma si presentò solo la Cisl e il tentativo naufragò. Così ora molti industriali pensano che il pressing di Renzi possa far gioco alle loro istanze (che puntano a un più netto ridimensionamento del contratto nazionale, secondo la proposta di Federmeccanica) e renda più deboli e meno unite le confederazioni nella trattativa.