Un centro di telelavoro in cui le persone con disabilità psichica possono esprimere le loro potenzialità in un ambiente silenzioso e con la presenza di un mediatore che le assiste sia nei rapporti con gli altri telelavoratori che con l’azienda. È
Job Stations, iniziativa nata dalla collaborazione tra Progetto Itaca onlus e Fondazione Italiana Accenture attraverso
Give mind a chance!, concorso di idee veicolato dalla piattaforma partecipativa 2.0 www.ideaTRE60.it.Su 158 proposte pervenute è stata selezionata quella di Monica Anna Perego, rivolta a persone con disagio psichico maggiore (interessate da psicosi, depressioni, disturbi della personalità) e indicata per aziende medie o grandi che utilizzino soluzioni di
cloud computing per lo stoccaggio dei dati o per applicazioni gestionali ospitate su server remoti e quindi accessibili da qualunque luogo connesso in Rete."Uno degli ostacoli maggiori all’inserimento lavorativo di persone con disabilità psichica è rappresentata dalla relazione all’interno del luogo di lavoro, in azienda – spiega
Francesco Baglioni, direttore di Club Itaca, iniziativa per l’integrazione delle persone con disagio psichico maggiore promossa da Progetto Itaca, associazione volontari per la salute mentale a Milano –. Rimuovendo questo ostacolo si potrebbe facilitare l’inserimento di questi lavoratori. Il bando di Fondazione Accenture ci ha permesso di realizzare il centro di telelavoro in cui dipendenti di diverse aziende possono lavorare in condizioni ideali per esprimere le proprie potenzialità".L’idea del concorso è nata dalla constatazione che il potenziale dei disabili psichici a livello lavorativo non è sfruttato: i disabili occupati in Italia sono meno del 18%, quelli con difficoltà psichiche solo l’1,5%. Per l’85% dei disabili la pensione è la principale fonte di reddito, ma a oggi sono circa 750 mila le persone disabili iscritte nelle liste di collocamento. Con la recessione, però, le aziende possono chiedere la sospensione degli obblighi di assunzione previsti dalle legge 68/99 e così il 25% dei posti rimane scoperto. Il progetto
Job Stations è partito nel 2012 e da allora sono stati stipulati 25 contratti.Attivo dal 2005, Club Itaca è un centro diurno con la formula del
club, un modello di riabilitazione anglosassone nato negli Stati Uniti in cui le persone diventano socie di una realtà di pari. "A differenza dei centri diurni in cui un’equipe multidisciplinare si occupa di tutti i bisogni della persona, dalla cura all’intrattenimento fino al lavoro, il modello del
club prevede la separazione tra cura e inclusione – continua Baglioni – L’idea è che ci debba essere una specializzazione nell’uno e nell’altro campo, non è sostenibile che un’equipe di psichiatri si occupi di reinserimento lavorativo o di attività di intrattenimento". Sono 152 le persone socie di Club Itaca a Milano, poco più di 70 quelle che lo frequentano. "Chi si iscrive è socio a vita, a meno che decida di cancellarsi, e può frequentare il club quando ne ha bisogno – chiarisce Baglioni – Il progetto è dedicato a persone che hanno un progetto di cura consolidato perché si può intervenire sul reinserimento sociale e lavorativo quando la fase acuta della malattia è sotto controllo". Una parte rilevante del programma è rappresentata dall’inserimento lavorativo.
Archivista, data miner, data entry, database manager, impiegato amministrativo o contabile, addetto ai servizi It. Sono le professioni o le mansioni svolte dai lavoratori con disabilità psichica nel centro di telelavoro, al cui interno sono presenti tutor che addestrano i lavoratori sulle mansioni e fanno da mediatori con l’azienda e gli altri lavoratori. Tra le aziende che hanno aderito al progetto ci sono Accenture, Bcg – Boston Consulting Group, Aon, Istituto clinico Humanitas, Fondazione Cariplo, Swan Group, ImsHealth, UniCredit, Avanade, Manpower. Dopo la nascita nel 2012 di
Job Stations a Milano, nel 2014 il progetto è partito anche nella sede di Roma di Progetto Itaca e quest’anno presso la Fondazione Bertini Malgarini sempre a Milano. "Il nostro obiettivo è far sì che il centro possa essere uno strumento di transizione – conclude Baglioni – in alcuni casi non è possibile, ma in altri sì come è avvenuto, per esempio, con un lavoratore della Boston Consulting che ora lavora quattro giorni in azienda e solo uno al centro".