Marchionne, 66 anni, è morto a Zurigo, dove era ricoverato da alcune settimane. Per 14 anni alla guida di Fiat, poi trasformata in Fca, e Ferrari, ha segnato una stagione industriale, non solo italiana. Sarà ricordato come l'imprenditore che nel 2004 ha salvato la Fiat dal fallimento e l'ha trasformata nel settimo gruppo automobilistico mondiale. Ma è anche l'uomo dei piani industriali ambiziosi, "non per deboli di cuore", presentati con il sottofondo musicale del jazzista afroamericano Bobby McFerrin. Passeranno alla storia fante fotografie: l'acceso scontro sindacale nelle fabbriche, la svolta nelle relazioni industriali con l'uscita da Confindustria, l'alleanza con Chrysler benedetta dalla Casa Bianca."E' accaduto, purtroppo, quello che temevamo. Sergio, l'uomo e l'amico, se n'è andato". Così in una nota il presidente di Fca, John Elkann. "Penso che il miglior modo per onorare la sua memoria sia far tesoro dell'esempio che ci ha lasciato, coltivare quei valori di umanità, responsabilità e apertura mentale di cui è sempre stato il più convinto promotore", aggiunge Elkann. "Io e la mia famiglia gli saremo per sempre riconoscenti per quello che ha fatto e siamo vicini a Manuela e ai figli Alessio e Tyler", afferma ancora l'a.d. e presidente di Exor, che conclude: "Rinnovo l'invito a rispettare la privacy della famiglia di Sergio".
In molti erano pronti a scommettere che alla fine non se ne sarebbe andato, l’anno prossimo, perché era difficile soltanto pensare a una Fca senza Sergio Marchionne. Pochi invece avevano sentito parlare di Sergio Marchionne quando, il primo giugno del 2004, il Cda Fiat lo nominò nuovo amministratore delegato del gruppo. Umberto Agnelli era morto da pochi giorni, l’Ad Giuseppe Morchio si era dimesso e la scelta di questo 52enne nato a Chieti ma trasferito in Canada all’inizio dell’adolescenza aveva tutta l’aria di una mossa d’emergenza in un momento critico.
Marchionne, entrato nel Cda di Fiat un anno primo con l’inizio della presidenza di Luca Cordero di Montezemolo, aveva un curriculum da manager di alto livello, ma non stellare. Nessuno poteva immaginare che questo dirigente non più giovane non solo avrebbe salvato Fiat, ma l’avrebbe rivoltata completamente ridandole il suo ruolo tra i grandi gruppi automobilistici mondiali. La Fiat del 2004 ha bisogno di essere salvata perché è un’azienda che ha una linea di prodotti debolissima (l’auto del rilancio doveva essere la sfortunata Stilo, arrivata sul mercato un mese dopo l’attacco alle Torri gemelle), perde 2 milioni di euro al giorno e rischia che le banche creditrici ne prendano il controllo per spezzettarla.
È messa così male che General Motors, proprietaria del 20% delle azioni, sta facendo di tutto per evitare che gli Agnelli esercitino il loro diritto di cederle il restante 80% a un 'equo' prezzo di mercato. Strappare 2 miliardi di dollari a Gm in cambio della rinuncia a scaricarle Fiat è il primo capolavoro strategico di Marchionne. Risolte le questioni urgenti, Marchionne si trova a dovere disegnare il futuro dell’azienda.
Fiat Auto, il cuore del gruppo, con i marchi Fiat, Alfa Romeo e Lancia produce automobili soprattutto in Italia per venderle principalmente in Europa: sono italiani 71mila dei 160 mila dipendenti del gruppo ed è costruito in Italia il 68% degli 1,7 milioni di automobili prodotte nel 2004. Ma la divisione auto è anche quella che affonda i conti: ha chiuso con un rosso di 2 miliardi di euro, portando in negativo di 1,5 miliardi l’intero risultato di Fiat. Nell’ottica di una 'ottimizzazione degli investimenti' e della 'convergenza tra piattaforme', l’azienda costruirà all’estero – a Tychy, in Polonia – il modello su cui punta di più, la nuova 500. Per le fabbriche italiane si promettono significativi aggiornamenti, anche contrattuali, con l’obiettivo di garantire «la continuità dell’attività manifatturiera». La cura Marchionne funziona. Nel 2005 la Fiat ritrova l’utile e nel 2007 l’azienda è in grado di proporre, per la prima volta da 5 anni, un dividendo agli azionisti. La ripresa del mercato europeo e il successo della 500, il modello simbolo della gestione Marchionne, consentono al manager di potersi preparare al suo secondo capolavoro, l’acquisto di Chrysler. Con questa operazione, avviata nel 2009 e completata nel 2014 a costi irrisori, Marchionne ha completamente trasformato la Fiat.
I cambiamenti formali, con la nascita di Fca, la separazione del-l’attività dei veicoli commerciali, industriali e agricoli confluiti in Cnh e il trasferimento della sede legale in Olanda e quella fiscale nel Regno Unito, sono solo l’aspetto esteriore di questa trasformazione. Il cambiamento sostanziale consiste nella crescita dimensionale e lo spostamento del focus del gruppo dall’Italia al Nordamerica. Le immatricolazioni sono passate dagli 1,7 milioni del 2004 ai 4,7 milioni del 2017, il fatturato è salito da 46,7 a 111 miliardi di euro, la perdita di 1,5 miliardi è diventata un utile da 3,5 miliardi di euro (che dovrebbe salire fino a 5 miliardi quest’anno). Nella Fiat di oggi l’Italia ha un ruolo significativo, ma non è centrale. Sancito dagli scontri con la Fiom e l’uscita da Confindustria. Il cuore del gruppo è in Nordamerica, dove ottiene la maggior parte delle immatricolazioni (2,4 milioni), dei ricavi (66,1 miliardi) e dei margini (5,2 miliardi su 7).
L’Italia, con le sue 558mila immatricolazioni del gruppo Fiat, è il principale mercato europeo di questo gigante internazionale. A livello produttivo, però, il nostro Paese resta centrale: è ancora la seconda 'fabbrica' del gruppo, con 5 stabilimenti, 60mila dipendenti su 236mila (gli americani sono 66mila) e 914 manager su 2.364 (contro i 945 dirigenti statunitensi). La forza di Fca, oggi, è però altrove, nel marchio Jeep e nei pickup Ram venduti in America. E sono i successi americani a garantire all’azienda le risorse per continuare a investire anche in Italia. Dove, secondo il bilancio 2017 consultato da Radiocor, la controllata Fca Italy ha chiuso l’anno con 672 milioni di euro di perdite.