«Incrementare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è una misura essenziale per la crescita». Lo hanno affermato il presidente del Cnel Tiziano Treu e la consigliera Paola Vacchina, durante l’audizione in commissione Lavoro alla Camera nell’ambito dell’esame delle abbinate proposte di legge, tra cui quella del Cnel, relative alle Modifiche all’articolo 46 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale.
«La partecipazione dei generi al mercato del lavoro è talmente diversa da configurare due diversi mercati, caratterizzati da diverse entità quantitative, da diverse tipologie contrattuali, forme di occupazione e relativo livello di stabilità, da differenti settori economici di occupazione e, al loro interno, anche da ruoli, professioni e qualifiche ricoperte - si legge nel documento presentato alla Camera -. Le forze sociali rappresentate al Cnel segnalano che uno strumento particolarmente versatile, idoneo a ridurre le disuguaglianze di genere e a identificare strumenti condivisi di conciliazione tempi di vita-tempi di lavoro è la contrattazione collettiva, con particolare riferimento a quella aziendale. Occorre uscire dalla logica della rivendicazione e affrontare, con decisione e con misure fra loro coerenti, la questione della condizione occupazionale femminile. Ciò può realizzarsi solo mediante interventi di sostegno alla natalità e al lavoro di qualità delle donne. Non va sottaciuto, infatti, che la crescita della partecipazione delle donne al mercato del lavoro non può realizzarsi a discapito della qualità dello stesso, come purtroppo si è verificato nei lunghi anni della crisi attraverso una crescita delle occupazioni a bassa retribuzione e l’aumento incontrollato del part time involontario».
«Il Cnel ritiene che il Paese debba fare un salto culturale per l’affermazione del principio di co-genitorialità e di condivisione delle responsabilità del lavoro di cura in tutte le fasi della vita familiare, per rendere effettiva l’affermazione di tali principi, muovendo da azioni che contrastino la perdita economica determinata dal mancato pieno apporto della componente femminile alla crescita e alla competitività, e che intendano il lavoro di cura un investimento di cui beneficia l’intera società. Non si tratta di un percorso facile: occorre soprattutto tener conto che il Paese sconta una drammatica disomogeneità sociale, economica e culturale sul territorio», hanno aggiunto Treu e Vacchina.
Come segnalato nel XXI Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, presentato lo scorso dicembre, la condizione della donna lavoratrice è soprattutto penalizzata dalla difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che spinge in basso (49,7% dato Istat, contro il 60,4% Ue) la quota dell’occupazione femminile fra i 15 e i 64 anni e che induce il 27% delle donne madri ad abbandonare la propria occupazione alla nascita del figlio, una quota enorme se confrontata a quella maschile (lo 0,5%). Secondo gli ultimi dati Istat c’è un differenziale nel tasso di attività pari a +19,2% a favore degli uomini rispetto alle donne e un differenziale nel tasso di occupazione pari a +18,6% a favore degli uomini. Il divario di genere in termini di lavoro non retribuito (nel quale le donne spendono in media quattro ore e 15 minuti al giorno, contro due ore e 16 minuti degli uomini).