La tecnologia non è buona o cattiva ma neutra: siamo noi a riempirla di senso. La paura di un mondo in cui i robot prendano il posto dell’uomo e rendano inutile il suo lavoro è irrazionale. Si rende però indispensabile un nuovo umanesimo che indirizzi i cambiamenti che oggi sono sempre più veloci. Roberto Cingolani – dal 2005 direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, avanguardia mondiale dell’intelligenza artificiale e della robotica – è convinto che si debba e si possa individuare un modello di sviluppo sostenibile. Per guardare al futuro senza paure ma con consapevolezza.
Dottor Cingolani, forse complice la crisi, si ha una visione apocalittica dell’impatto dei robot sul mondo del lavoro.
La questione va inquadrata storicamente. La tecnologia nei secoli ha sempre portato grandi cambiamenti: con Guttenberg ad esempio sono scomparsi gli amanuensi ma comparsi i librai. Ogni "generazione" di nuove tecnologie creava nuovo lavoro, ma tutto avveniva su una scala di tempi abbastanza lunga. Erano cambiamenti intergenerazionali: c’era tempo per riadattarsi. Pensiamo a due esempi concreti come l’avvento del telefono e delle e-mail che ci hanno messo decenni a rivoluzionare il mondo del lavoro. Si prendeva il meglio della tecnologia pagando un prezzo irrisorio in termini di posti di lavoro.
E oggi invece? Non riusciamo a tenere il passo con le tecnologie?
Il problema dei nostri giorni è che le tecnologie hanno cominciato ad evolversi ad una velocità tale che il cambiamento è intragenerazionale. Nell’ambito della vita lavorativa cambiano tre o quattro tecnologie: non c’è il tempo di prendere il meglio e diventa difficile e costoso riqualificare il lavoratore. Studiamo all’università ma quelle competenze non possono più bastare per tutta la vita. Occore investire sulla formazione continua.
Al Festival dell’economia di Trento si è parlato di una perdita, nei paesi del G7 del 14% dei posti di lavoro legati all’arrivo delle macchine, è una stima realistica?
In prospettiva le nuove tecnologie creano più lavoro nel medio-lungo periodo ma la perdita invece si vede subito. Il saldo netto ci sarà. Ma l’aspetto importante è l’analisi dei rischi, fondamentale adesso che la tecnologia è più veloce. Come dico sempre: se prendo un cuscino e lo uso per soffocare una persona, il problema non è che il cuscino è pericoloso, ma che è stato usato da un pazzo. In passato non venivano considerati i rischi: l’amianto sembrava una soluzione geniale per l’isolamento degli edifici, c’erano dei lati oscuri che non venivano presi in considerazione. Tornando ad oggi ci sarà sempre spazio per gli artigiani, il computer non riuscirà mai ad aggiustare un lavandino perché ci sono troppi passaggi logici da fare. I lavori creativi non di routine non saranno toccati, mentre i lavori ripetitivi verranno eliminati.
Si deve cambiare prospettiva, insomma. Lei propone di utilizzare la tecnologia per salvare il pianeta, in che modo? Dobbiamo chiederci quale modello economico vogliamo perseguire. Se è quello del profitto, vale a dire che la produzione con i robot è più redditizia, è un conto. Ma non si pensa ai rischi. C’è un altro modello possibile: ad esempio mantenere produzione oraria costante utilizzando macchine intelligenti per ridurre il consumo di energia. L’aumento del Pil così lo creo perché per produrre quel pezzo ho impattato meno. L’economia circolare è un modello perseguibile grazie alle macchine con una maggiore precisione. Sulla terra siamo 7 miliardi di persone diventeremo presto 10 miliardi. La sostenibilità è la sfida etica più importante. Dobbiamo mettere le migliori menti intorno al tavolo per capire dove dobbiamo condurre questo pianeta che non basta e non basterà per tutti.
Uno dei fiori all’occhiello dell’Itt è Icub, il robot umanoide. Quali sono i settori nei quali i robot hanno maggiore applicazione?
Direi tutti nessuno escluso: dalla manifattura alla movimentazione, il packaging, l’ambito sanitario. L’automazione è ovunque, è un’ecosistema di macchine che lavora con noi. Icub è un robot umanoide con le sembianze di un bambino: ne abbiamo venduti 40. Serve per sviluppare interazioni cognitive, la lingua, le protesi, macchine per la riabilitazione, ma anche per produrre la pelle quella come umana, telecamere, motori e batterie di nuova generazione. È un robot palestra che ha tutti i sensi, tatto vista e udito e che ci ha consentito una serie infinita di applicazioni in ambito medicale.
A proposito di ricerca medica, lei è uno degli ispiratori del progetto Human technopole che sorgerà nell’area Expo, che rapporto avrà con l’IIt di Genova?
Saranno due strutture complementari, che collaborano con le università e attirano cervelli da tutto il mondo. A Milano sta nascendo il centro di ricerca avanzata sul genoma. Si stanno facendo i bandi internazionali, far partire la macchina è un’operazione molto complessa. A Genova siamo specializzati in robotica, macchine intelligenti, nanotecnologia, materiali e bio-plastiche. Studiamo il cervello per l’intelligenza artificiale e sviluppiamo metodi di calcolo.