giovedì 9 agosto 2018
I settori più interessati dalla presenza di questa tipologia contrattuale sono l’agricoltura, il turismo e il commercio; la fascia anagrafica maggiormente investita è quella giovanile (15-34 anni)
Tre milioni di contratti a termine, di più al Sud
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L’Ufficio studi della Cgia ha costruito l’identikit degli oltre tre milioni di lavoratori presenti in Italia che prestano servizio con un contratto a termine. L’incidenza percentuale più elevata dei contratti a termine sul totale dei lavoratori dipendenti occupati nel Paese si registra al Sud; i settori più interessati dalla presenza di questa tipologia contrattuale sono l’agricoltura, il turismo e il commercio; la fascia anagrafica maggiormente investita è quella giovanile (15-34 anni). Ma c’è un dato interessante: la nostra quota di lavoratori temporanei è inferiore al dato medio dell’area euro.

«La crescita di questi contratti flessibili registrata negli ultimi dieci anni – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – è correlata all’andamento dell’economia. Quando il Pil si abbassa il numero scende, quando l’economia torna a salire i precari aumentano. A nostro parere va segnalato che il notevole ricorso a questi contratti non è legato all’elevato numero degli stessi, ma a seguito di una crescita che è stata e che continua a risultare troppo modesta. Con variazioni del Pil molto contenute, infatti, non possiamo che ottenere una cattiva occupazione che abbassa la produttività complessiva del lavoro e conseguentemente anche i salari pro capite».

Dalla Cgia ricordano che da quest’anno gli occupati presenti in Italia sono tornati stabilmente sopra i 23 milioni. Gli stessi che avevamo dieci anni fa, ma nel frattempo, a causa di una crescita asfittica, il monte ore lavorato è diminuito del 6% (in termini assoluti pari a -2,7 miliardi di ore). Ciò vuol dire che la platea occupazionale è tornata ad essere la stessa, ma si lavora meno perché è aumentato il numero dei precari.

I dati provvisori relativi alla media del primo semestre di quest’anno indicano una crescita del peso degli occupati a tempo determinato che ha raggiunto il 16,6% sul totale degli occupati dipendenti. In termini assoluti la media di questo primo semestre è stata pari a 2.964.000 unità. Al contrario, gli occupati a tempo indeterminato sono in flessione. L’aumento degli occupati a termine ha contribuito ad allargare la base occupazionale totale dei dipendenti che nei primi sei mesi del 2018 è cresciuta, secondo i primi dati provvisori, del 2% rispetto allo stesso periodo del 2017. Situazione critica, invece, per gli occupati indipendenti (autonomi) che nei primi sei mesi del 2018 sono scesi dell’1,8%. Nel complesso, nei primi sei mesi del 2018 l’occupazione totale italiana (dipendente più indipendente) è comunque cresciuta dell’1,1%.

Nel 2017, invece, la media degli occupati con un contratto a termine è stata pari a due milioni e 772 mila unità. Se in Italia l’incidenza percentuale di questi ultimi sul totale dei dipendenti occupati nel Paese è stata del 15,4%, al Sud questa quota ha raggiunto il 19,3%, contro il 14,8% del Centro e il 13,7% del Nord. A livello regionale la soglia più significativa la rileviamo in Calabria (21,85), in Sicilia (21,3%) e in Puglia (20,75%). Il Piemonte (12,8%) e la Lombardia (11,3%) sono i territori meno interessati da questa problematica. In termini assoluti, invece, la regione con il maggior numero di lavoratori con un contratto a termine è la Lombardia (394.200)

Nel confronto con i Paesi dell’area euro, solo la Germania sta meglio di noi. Nel 2017 la quota italiana si è attestata al 15,4%, quasi un punto in meno della media dell’area euro (16,2%) e ben al di sotto del dato registrato in Francia (18%), nei Paesi Bassi (21,8%) e in Spagna (26,6%). Tra i principali Paesi europei solo la Germania presenta una incidenza inferiore alla nostra (12,8%).

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