sabato 18 maggio 2013
​Lo studio del Club Finance della Fondazione Cuoa e di Kpmg mette in luce come un ruolo più manageriale del Cfo garantirebbe alle pmi italiane maggiore competitività nel mercato internazionale.
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​Condizione per la crescita virtuosa delle piccole e medie imprese e della loro competitività nel mercato internazionale è l’attribuzione al Chief finance officer (Cfo) di competenze più manageriali. Lo sostiene una ricerca del Club Finance della Fondazione Cuoa, condotta in collaborazione con Kpmg e intitolata Il ruolo del Cfo per la crescita dimensionale nel Middle Markek. Lo studio del Cuoa evidenzia come in ambito internazionale le aziende in cui il Cfo non si limita a esercitare un mero ruolo tecnico-operativo, ma diventa figura chiave del management aziendale e della delineazione strategica del business, raggiungono performance eccellenti. La ricerca parte da una premessa: le pmi italiane, che operano in un Middle Market di volumi inferiori rispetto a quello degli altri paesi europei, non possono prescindere dall’obiettivo della crescita per competere in un mercato sempre più difficile e in rapida trasformazione. Per le piccole imprese la crescita rappresenta tuttavia un’arma a doppio taglio; si accompagna infatti ad un aumento della complessità aziendale, che se non gestita correttamente rischia di produrre effetti negativi sulla crescita stessa. Gli autori sottolineano quindi che la crescita dimensionale deve andare di pari passo con una crescita culturale dell’impresa, che tradotto significa con un approccio più manageriale che garantisca competenze specifiche, attenzione alla sostenibilità organizzativa e finanziaria, pianificazione strategica.Secondo la ricerca del Cuoa e di Kpmg, il Cfo potrebbe rappresentare una figura competente e decisiva a supporto dell’imprenditorie, in grado di gestire in modo strategico l’iniezione di nuove risorse finanziarie – di per sé non sufficienti a garantire la crescita – e a modificare la struttura organizzativa adeguandola ai cambiamenti repentini richiesti dal mercato. Con un’avvertenza: il modello di Cfo a cui occorre tendere, con riferimento all’esperienza dei paesi esteri, è una figura sempre più manageriale e sempre meno “tecnico-operativa”. La tesi della ricerca è suffragata da importanti studi internazionali sul tema, come quello dell’IBM Institute for Business Value (The Global CFO Study 2010) basata su oltre 1.900 interviste di Cfo di tutto il mondo e di McKinsey, condotta sulle prime 100 aziende mondiali per livello di capitalizzazione. Tra i profili Cfo delineati da McKinsey, il “business generalist” è secondo gli autori del Cuoa e di Kpmg il modello più di ogni altro in grado di supportare le scelte strategiche e la definizione del business delle pmiitaliane, corrispondendo al  “Value Integrator” definito da IBM. Si tratta di un profilo con una migliore conoscenza del business e una capacità d’integrazione e di comunicazione di tutte le informazioni aziendali, che rende più rapidi ed efficaci i processi decisionali. L’importanza di tale tipologia è confermata dal dato relativo alle nuove assunzioni nel ruolo: nella ricerca McKinsey  il Cfo “business generalist” copre circa il 65% delle assunzioni di nuovi Cfo.
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