Anche i rider (ossia chi consegna cibo a domicilio) devono godere delle stesse tutele previste per il lavoro subordinato. La Cassazione ha infatti respinto il ricorso di Foodora contro la sentenza con cui la Corte d'appello di Torino aveva riconosciuto a cinque ex rider parità economica rispetto ai lavoratori subordinati del settore della logistica, con tredicesima, ferie e malattie pagate. «Al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni» individuate nell'articolo 2, comma 1, del Jobs Act, «la legge ricollega imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione», si legge nella sentenza depositata oggi dalla sezione Lavoro, di cui è relatore il giudice Guido Raimondi, ex presidente della Corte europea dei diritti dell'uomo.
«Non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell'autonomia - osserva la Suprema Corte - perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l'ordinamento ha statuito espressamente l'applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina». Il legislatore, ricorda la Corte, «ha stabilito che quando l'etero-organizzazione, accompagnata dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio della applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato». Una scelta, questa, scrive la Cassazione, «per tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di debolezza economica, operanti in una zona grigia tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea». Anche il decreto 101 del 2019, sottolineano i giudici - non applicabile al caso in esame che è antecedente - «va nel senso di rendere più facile l'applicazione della disciplina del lavoro subordinato». Secondo la Corte, inoltre, «si deve ritenere che possa essere ravvisata etero-organizzazione rilevante ai fini dell'applicazione della disciplina della subordinazione anche quando il committente si limiti a determinare unilateralmente il quando e il dove della prestazione personale e continuativa».
Un passo avanti nel riconoscimento dei diritti per chi lavora nella gig economy in Italia. Un comparto in crescita quello dei lavoretti (non solo il rider, ma anche il sociologo, il lavoro nei call center, il pubblicitario, la babysitter, lo stock trader, il magazziniere, il cameriere, l’operatore socio sanitario, il responsabile marketing e la copywriter). Sebbene sia ancora difficile avere dei numeri precisi. I gig worker in Italia sarebbero circa l’1,6% della popolazione in età lavorativa, quindi 590mila. La stima è dell’Inps ed è contenuta in un documento depositato nelle commissioni Lavoro e Industria al Senato. Per la Fondazione De Benedetti, invece, sarebbero 700mila. Anche se per 150mila è l’unica fonte di reddito. Ora bisognerà capire se le piattaforme digitali - e i datori di lavoro - si adegueranno alla sentenza della Cassazione. O se troveranno una scappatoia per non tutelare questi lavoratori subordinati a tutti gli effetti.
Riconosciuta la parità economica rispetto ai lavoratori subordinati del settore della logistica, con tredicesima, ferie e malattie pagate
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